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Letture della preghiera notturna dei certosini

 

 

ISACCO DI NINIVE

 

VII secolo

 

Isacco di Ninive è il grande melode dell'esichia. "Beato chi ha il pensiero sempre fisso in Dio" (168).

Ma che cos'è l'esichia?

Anzitutto rinuncia al mondo e riposo in Dio. "Nessuno può contemplare la bellezza che gli splende nel cuore, se prima non ha sdegnato e voltato le spalle a qualunque bellezza di fuori" (169). L'immagine fa scintillare davanti allo sguardo il valore verso cui è proteso il solitario. Isacco incalza con un'immagine ancora più rutilante di luce: "L'umile vede nel suo cuore la luce dello Spirito Santo, che svetta fiammeggiante e splendente" e si trasfigurerà nella somiglianza divina (169).

In ordine al programma di spogliamento, è preferibile per il monaco avere qualche bene per far l'elemosina oppure consegnarsi a una rinunzia totale, per non dover amare il possesso congiunto alla povertà? Isacco fissa un ordine di preferenze. "Se fai del bene a qualcuno, non aspettarti nulla in cambio da lui... Anzi, qualora fosse possibile, non far il bene neppure per la ricompensa eterna.... L'elemosina è cibo per bambini; ma l'esichia e la vetta della maturità" (165).

Tuttavia ciò è solo un inizio. Il lavoro di sgombero deve calarsi entro la lotta contro le sollecitazioni dei sensi e contro la negligenza. "Quanto forniscono orecchi e lingua, penetra dentro e acceca l'anima” In tal modo l'anima non può vincere i pensieri malsani che l'agitano dentro (166).

L'ascesi del silenzio abbraccia l'uomo intero, anima corpo desideri: "Chiunque avrà patito la fame e la sete per Dio, Dio lo inebrierà dei suoi beni. Colui che avrà saputo spogliarsi di se stesso per amore di Dio, Dio lo rivestirà di un abito d'incorruttibilità e di gloria." (160). È la via regale dell'umiltà, l'assoluto evangelico: "Se avrai l'umiltà dentro il cuore, lì Dio ti svelerà la sua gloria" (160; cf. 158, 163, 170). Il lavoro di purificazione mira perciò soprattutto a liberare dall'orgoglio (157. 158. 160. 173). Riprova della purezza del cuore e la carità verso i fratelli (161) e l'assenza di sospettosa suscettibilità, questo cancro del solitario (162).

Un'altra condizione dell'esichia sono le veglie e la sobrietà. Il vero solitario non presta nessuna attenzione al proprio corpo (167), allo scopo di aprirsi a un'esperienza più profonda. Isacco non disprezza affatto la componente somatica dell'uomo: ne promuove invece il retto comportamento per cui "sentirai in tutte le tue fibre la potenza di colui che indubitabilmente e con te" (163).

 

Intimamente connesso con l'esichia è il raccoglimento in un solo luogo, condizione di tanti benefici. Di qui l'ingiunzione: "Non cerchiamo occasioni o pretesti per uscire fuori dal deserto. Questi sono ... tranelli del comune nemico" (167). In realtà, al solitario non sono chiesti sforzi titanici. “I sapienti non si lanciano in grandi battaglie" (167). La vera forza "viene da prolungata pazienza" (168), quella pazienza che si incarna nelle piccole cose (167).

L'entrata nell'ordine dell'esichia è l'entrata in un gioco di luci e di ombre, magari di tenebra. Ma le prove non sono da temere. Isacco insiste su questo punto. “Non crederti forte finche tu non sia stato sottoposto a svariate tentazioni" (158). "Con i patimenti e le afflizioni Dio ti fa crescere nel cuore la memoria di Sé (159). Nelle prove troviamo motivo di onore (170). L'atteggiamento corretto è semplice: pazienza e preghiera perseverante, nonostante tutto (159. 172). “Nulla aizza di più i demoni che gettarsi davanti alla croce di Cristo, pregare notte e giorno” (166). Non c’è che da gettarsi ciecamente in Dio (163). I consigli di Isacco ruotano dunque attorno alla povertà del cuore. Vuoi non perdere ciò che appartiene alla vita eterna? Cammina per la strada della semplicità La fede segue la semplicità Avvicinati a Dio con un cuore di fanciullo." (163). Chi ha un cuore di povero impara dalle sue cadute la conoscenza di sé (158), che lo condurrà alla conoscenza spirituale. Questa è semplice (164), purché ci si faccia piccoli davanti a Dio, come il bambino, anzi come una formichina (163). E non c’è da affliggersi se Dio tarda a esaudirci (170). Qui i consigli si rivestono di fini connotazioni, a cavallo tra la scienza spirituale e quella psicologica (170).

Da temere non sono le tentazioni, ma la pace stagnante, giacché allora "sei lontano dalla strada maestra, che a passi dolorosi percorsero i santi" (171). Isacco non si contraddistingue certo per originalità, ma perché sa condensare il meglio della tradizione monastico‑ esicasta presentandolo con una convinzione che assurge ad autentica testimonianza.

Raggiungerà la meta chi ha deciso "la traversata del mare delle afflizioni" (172). Questi trova la gioia della speranza (172) "la gioia che scaturisce da Dio e più forte della vita presente" (168).

Aver superato le prove della vita significa essere pervenuti a quella libertà e maturità che accreditano l'accompagnatore spirituale (171). Non sono dunque le conoscenze teoriche che distinguono il "maestro": prova ne è la difficoltà a individuare nell'opera d'Isacco le tappe del cammino spirituale. A tal proposito un po' più sistematico e forse il testo 168; già si vide che alla base dell'edificio spirituale sta quella povertà di cuore che e umile pazienza. Essa permette di conoscere i valori. definiti come "vita immortale”, “sentire le cose in Dio”. Allora il cuore si riempie di una dolcezza a cui nulla sulla terra è paragonabile. Di lì zampilla un sentimento sottile di Dio” “la consapevolezza di Dio, da cui nasce l'amore". Per Isacco, infatti, l'amore

è il culmine del cammino, tanto che chi l'ha in cuore non conosce tristezza davanti alla morte più dura per coloro che ama (ivi).

Per arrivare poi alla preghiera pura (157), occorre che il fervore sia costante. Se esso scema per cause varie (173), Isacco punta il dito sulla radice: "Da che cosa dipende che la purezza: è soffocata da tenebre cupe? Da un sottilissimo pensiero d'orgoglio che entra nel cuore e vi si annida" (173). Invece, liberato dall'orgoglio, il monaco sa amare, soffrire, rendere grazie per tutto, quasi già appartenesse al secolo futuro (162).

All'ultima tappa, lo Spirito Santo si riposa nell'uomo, che ha lavato gli occhi nelle lacrime della compunzione (157. 172). La purificazione incessante (159) permette a Dio "senza nemmeno accorgertene" di irradiare la sua gloria nell'anima (160). L'uomo può godere di una quiete totale, quando ha dimenticato tutto, persino se stesso. Non si tratta di sorpassare l'intelletto, ma di ritornare alla purezza originaria che permette di vedere Dio. Se per Evagrio l'orazione si confonde con lo stato dell'intelletto illuminato dalla luce della Trinità, per Isacco, solo dopo aver ritrovato la primitiva semplicità grazie alla crocifissione delle passioni, "la nube della gloria divina coprirà la tua anima, e la luce della sua grandezza brillerà nel tuo cuore" (157).

 

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