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Letture della preghiera notturna dei certosini

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Settimana della S.S. Trinità

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VANGELO (Mt 28,16-20)

Battezzate tutte le nazioni nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato.

Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano.

E Gesù, avvicinatosi, disse loro: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

Il Verbo svela il mistero del Padre ai puri di cuore (153). Questa presenza dei Tre nel fondo della nostra anima (154) è fonte di gioia indicibile e infinita (155), in solitudine (156). La vita trinitaria è anche l’esemplare della vita comune (157).

153

Lunedì

 

Dai “Trattati teologici ed etici” di Simeone il nuovo teologo.

5,115-135. S Ch 129,89.

 

Se Cristo ha detto che si vede Dio mediante la purezza del cuore, certamente, acquistata la purezza, segue la visione. D’altra parte, se tu ti fossi una volta purificato, avresti saputo che la parola è veritiera; ma poiché non hai preso la cosa a cuore, non hai creduto alla verità del fatto, hai anche trascurato la purificazione e perduto la visione. Se infatti quaggiù c’è la purezza, quaggiù ci sarà anche la visione; ma se tu dici che la visione non c’è che dopo la morte, necessariamente porrai dopo la morte anche la purificazione. E così accadrà che mai vedrai Dio, perché non avrai, dopo il trapasso, alcuna attività che ti permetta di trovare la purezza.

Ma che dice il Signore? Chi mi ama osserverà i miei comandamenti, e io lo amerò e mi manifesterò a lui. (Gv 14,21).

Quando avrà luogo la sua manifestazione? Quaggiù o nel secolo futuro? Evidentemente quaggiù. Dove i comandamenti sono osservati attentamente, vi sarà anche la manifestazione del Salvatore e, dopo la manifestazione, la carità perfetta si manifesterà in noi. Finché non è così, non possiamo né credere in lui, né amarlo come conviene, perché è scritto: Chi non ama il fratello che vede, come può amare Dio che non vede?(1Gv 4,20) In nessun modo.

154

Martedì

 

Dai “Discorsi” di Giovanni Taulero.

Serm. pour 2. dim. après Trin.. Edit. “La vie spir.”,t.11,p.66ss.

E’ assolutamente impossibile ad ogni intelletto comprendere come in Dio l’alta ed essenziale unità è unità semplice quanto all’essenza e triplice quanto alle Persone; neppure si riesce a capire come si distinguano le Persone, come il Padre generi il Figlio, come il Figlio proceda dal Padre pur dimorando in lui (infatti il Padre dice il suo Verbo eterno nella conoscenza che ha di sé). Altrettanto incomprensibile per noi è la conoscenza che uscendo dal Padre sgorga nell’inesprimibile torrente d’amore che è lo Spirito Santo.Questa Trinità, dobbiamo considerarla in noi stessi, renderci conto che davvero siamo fatti a sua immagine, giacché nell’anima allo stato naturale, è impressa l’immagine stessa di Dio. Nostro Signore rende testimonianza a questa medesima verità, quando dice che il regno di Dio è in noi (Lc 17,21). Sta appunto dentro, e soltanto lì, nel fondo, al di sopra di qualsiasi attività delle facoltà. In questo fondo il Padre del cielo genera il suo unico Figlio nello sguardo di una eternità sempre nuova, nell’inesprimibile splendore di sé stesso. Chiunque voglia avvertire ciò, si volga verso il suo intimo, ben al di sopra di qualsiasi attività delle potenze esterne o interne, al di là da ogni immagine e da qualsiasi apporto esterno. Si immerga, si cali nel fondo. Allora viene la potenza del Padre, e il Padre chiama l’uomo in sé mediante il Figlio unigenito; perché così come il Figlio nasce dal Padre e nel Padre rifluisce, anche l’uomo, nel Figlio, nasce dal Padre e rifluisce nel Padre con il Figlio, divenuto uno con lui. Lo Spirito Santo si effonde allora in una carità e in una gioia indicibili e traboccanti, per cui inonda e penetra il fondo dell’uomo.

155

Mercoledì

 

Dagli “Scritti” di un ignoto monaco del sec. XII.

In J. LECLERCQ, L’amour des lettres et le désir de Dieu, Paris, 1957, pp. 64-67.

Il ricordo frequente della città di Gerusalemme e del suo Re ci arreca una consolazione soave, diventa piacevole motivo di meditazione, e allevia il nostro pesante fardello, cosa altrettanto indispensabile. Come lo crede la fede cattolica e lo insegna la sacra Scrittura, il Padre è l’altissima origine delle cose, il Figlio è la perfettissima bellezza, lo Spirito Santo la beatissima fruizione; il Padre è causa dell’universo costituito, il Figlio è la luce per scrutare la verità, lo Spirito è la fonte a cui bere la felicità. Il Padre, con infinita potenza, ha creato tutto dal nulla, il Figlio nella sua sapienza ha ordinato le cose potentemente create, lo Spirito Santo ha moltiplicato le cose così create e ordinate con infinita bontà. Nel frattempo il Figlio ci ha fatto suoi discepoli, lo Spirito Santo ci conforta come amici desolati, il Padre ci rende vincitori e ci copre di gloria. Ora, in sé stessa la Trinità altissima e tre volte beata è comprensibile, ma incomprensibile per gli angeli e per gli uomini, mentre quaggiù si crede e lassù si vede: come l’uno è divisibilmente Tre e Tre sono indivisibilmente uno.

Nelle altezze è posta la città di Gerusalemme. Chi l’ha costruita è Dio. Uno è il fondamento di questa città, cioè Dio. Uno è il fondatore: proprio lui, l’Altissimo, che l’ha fondata. Una è poi la vita di tutti coloro che vivono in questa città.

Questa città, solida e stabile dimora in eterno. Grazie al Padre essa brilla di una luce sfolgorante; mediante il Figlio, splendore del Padre, si rallegra e ama; tramite lo Spirito, amore del Padre e del Figlio, pur rimanendo si modifica, contemplando si illumina e unendosi esulta. Essa è, vede, ama. E’, perché mette la sua forza nella potenza del Padre; vede, perché brilla della sapienza di Dio; ama, perché la sua gioia è nella bontà di Dio.Beata questa patria che non teme l’avversità, che non conosce null’altro se non le gioie della piena conoscenza di Dio.

156

Venerdì

 

Dalla “Lettera sulla vita monastica” di Filòsseno di Mabboug.

Nn. 121-122. In "L’Orient syrien”, VI (1961), 317ss.

Fratello, tu che hai preso dimora in cella nella solitudine, obbedisci ai superiori a motivo di Dio, così come gli apostoli obbedirono al loro vero Maestro e rimasero a Gerusalemme secondo quanto egli aveva loro comandato: Voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto (Lc 24,49). Ed essi ri masero secondo la sua parola a Gerusalemme, finché non ebbero ricevuto la forza dell’alto, sotto forma di lingue di fuoco. E diventarono gli araldi del regno dei cieli, fino alle estremità della terra, giacché il Signore aveva loro ingiunto: Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e  del Figlio e dello Spirito Santo. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,19). Questa promessa il Signore Gesù non la fece soltanto ai discepoli, ma anche a tutti quelli che avrebbero camminato sulle loro orme e avrebbero obbedito ai consigli dei loro maestri. Come per i discepoli, anche per costoro Cristo è presente e sta con essi, facendo dono dello Spirito Santo al loro cuore; insegna loro lingue nuove, che non avevano mai parlato, e li inizia a misteri rivelati tramite le lingue di fuoco che ricevono dallo Spirito Santo quelli che si sono stabiliti in una cella, in solitudine e si applicano all’esercizio delle virtù con sapiente discernimento.

157

Sabato

 

Dai “Trattati” di Baldovino di Canterbury.

Trattato 15. Pain de Citeau,40,pp.18-20.34.66.

La vita comune è come una lucente rifrazione della luce eterna, una specie di emanazione della vita eterna, un rivolo della Fonte inestinguibile che zampilla per la vita eterna (Gv 4,14).

Dio è vita, la santa e indivisa Trinità è una Vita unica. Il Padre non è una vita, il Figlio un’altra, lo Spirito Santo una terza: tutti e tre sono un’unica vita e come hanno un’essenza e una natura comune, così per essi vi è una sola vita comune. Infatti Dio non è isolato o solitario: è il Dio uno e trino ad un tempo. La vita di Dio è ben bene comune, dato che per le tre Persone vi è un’unica vita, vita indivisa e comune.

Per gli angeli la vita comune è una certa rappresentazione della vita comune che si trova in Dio, appartiene a Lui, anzi è Dio stesso. Lo Spirito Santo la mantiene in una somma pace, lui che ne è l’amore, il vincolo, la comunione.

Se in modo unanime e concorde, secondo la purezza della nostra professione, amiamo Dio, senza dubbio la carità si diffonde nel nostro cuore per mezzo dello Spirito Santo. E l’unico Spirito di Dio ci vivifica come un sol corpo, in modo che nessuno di noi vive più per sé, ma per Dio, affinché tutti insieme, per l’unico Spirito che abita in noi, viviamo nell’unità dello spirito.

 

 

 

Letture della preghiera notturna dei certosini

[Anno A] [Anno C]

 

 

Settimana della S.S. Trinità

 

165

 

Dai Discorsi di Isacco di Ninive.

Discorso 23. Logia, Astir, Atene,1961,87.

 

Non far distinzione tra il ricco e il povero. Non cercare di stabilire chi sia degno e chi sia indegno. Davanti a te tutti gli uomini siano uguali nel bene, a cui potrai così attirare persino chi non lo merita. Di fronte all'appello della bontà, l'anima passa svelta dalle cose materiali al timor di Dio.

Il Signore mangiava alla tavola dei pubblicani e delle prostitute Non allontanava gli indegni, nell'intento di attirare così tutti gli esseri verso il timore di Dio e sollevarli alle realtà dello Spirito attraverso quello che tocca il corpo. Voglio insomma che tu consideri tutti gli uomini, fossero eretici, miscredenti o assassini, ugualmente degni di bene e di onore; ogni uomo, in grazia della natura umana, è tuo fratello, quand'anche si fosse smarrito lontano dalla verità senza rendersi conto.

Se fai del bene a qualcuno, non aspettarti nulla in cambio da lui. Sarà Dio a ricompensarti per ambedue le cose: il bene fatto e il ricambio non preteso. Anzi, qualora fosse possibile, non far il bene neppure per la ricompensa eterna. Non hai forse assegnato la povertà alla tua anima? Quindi, se per grazia di Dio ti sei affrancato dalle preoccupazioni e con la tua povertà ti sei elevato più in alto del mondo, fa' attenzione a non amare il possesso insieme con la povertà.

Disporre di qualche bene per poter fare elemosina è una scusa. Getteresti il tuo cuore in preda allo scompiglio con il magro risultato di ricevere da destra quel che distribuisci a sinistra e cadresti in discredito sottomettendoti alle voglie degli altri.

Dallo stato di libertà e di nobiltà precipiteresti nelle inquietudini di questa vita mortale. Infatti la povertà del solitario sta ad un livello più alto di chi fa l'elemosina. No, ti supplico, non degenerare.

L'elemosina è cibo per bambini; ma l'esichia è la vetta della maturità. Qualora tu possedessi qualche bene, distribuisci una volta per tutte quello che hai.

Ma se non hai nulla, non cercare di farti un gruzzolo. La tua cella sia pura dalle piacevolezze del mondo e sgombra d'ogni superfluo.

 

 

 

166

 

Dai Discorsi di Isacco di Ninive.

Discorso 23. Logia, Astir, Atene,1961,87‑88.

 

Chi ha portato felicemente a buon punto il combattimento esteriore, si è affrancato dalla paura che lo soffocava e non c'è più nulla che lo condizioni. Avrà certo ancora da lottare a destra e a sinistra, eppure non prova smarrimento. È ovvio che qui intendo la lotta organizzata dai sensi e dalla negligenza contro l'anima. Quanto forniscono orecchi e lingua, penetra dentro e acceca l'anima. Presi dal turbinio delle vicende profane, si rimane forzatamente distolti dal proprio cuore profondo e quando verrà dichiarata guerra a quelle profondità, non riusciremo a vincere il nemico interiore.

Se invece uno sbarra le porte della città, cioè i sensi, allora è in grado di sostenere la lotta di dentro, senza più dover far fronte a chi l'assedia fuori della città.

Adesso ascolta e ammira quel che succede. Nulla è più grande e penoso nel combattimento ascetico, nulla aizza di più i demoni che gettarsi davanti alla croce di Cristo, pregare notte e giorno, essere come uno che ha le mani legate. Vuoi che non si illanguidisca il tuo fervore e non si isterilisca la tua compunzione? Fa' quanto ti ho detto. Se ti impegni a vivere così notte e giorno, senza altro cercare, sarai beato, fratello.

Allora in te sorgerà la luce, alta splenderà la tua giustizia, e sarai come un paradiso smaltato di fiori, come una polla d'acqua inesauribile.

Lo vedi che beni procura la lotta interiore?

 

 

167

 

Dai Discorsi di Isacco di Ninive.

Discorso 26. Logia, Astir, Atene,1961,97‑98.

 

Non cerchiamo occasioni o pretesti per uscire fuori dal deserto. Questi sono manifestamente dei tranelli del nostro comune nemico. Se invece persevererai nel deserto, non sarai tentato.

Comprendi quel che dico. Mostra all'avversario la tua pazienza e la tua solida virtù nelle piccole cose, perché lui non ti chieda nulla nelle grandi. Queste piccole cose ti siano come l'arma con cui potrai debellare il nemico. Non cessare lo stato di veglia e lui non ti potrà tendere insidie maggiori.

Chi non si lascia convincere ad uscire neppure di cinque passi dalla porta della sua cella, come potrà essere convinto ad uscire dal deserto o ad avvicinarsi a un villaggio?

E chi non è vinto neppure nel guardare fuori dalla finestra del suo romitorio, come sarà convinto ad uscirne fuori? Chi si vergogna di sostentarsi con i cibi più grossolani, come potrà essere avido di laute vivande? E chi disattende il suo corpo, come si lascerà adescare ad occuparsi di bellezze estranee?

Quindi, uno è vinto prima nelle piccole cose, perché le disprezza, e allora fornisce a Satana l'occasione di attaccarlo nelle grandi. Ma chi non è minimamente preoccupato di rimanere in questa vita transitoria, come potrà spaventarsi dei tormenti e delle tribolazioni che conducono a quella morte che ama?

La lotta del discernimento è questa: i sapienti non si lanciano in spettacolose battaglie, ma la perseveranza che dimostrano nelle piccole cose li custodisce dal cadere in fatiche ben più spossanti.

 

 

168

 

Dai Discorsi di Isacco di Ninive.

Discorso 38. Logia, Astir, Atene,1961,148.

 

Beato chi ha il pensiero sempre fisso in Dio e, spregiando le realtà mondane, si è consacrato interamente a lui nell'intimità della sua conoscenza. Se persevera, non tarderà a vedere l'abbondanza dei frutti.

La gioia che scaturisce da Dio è più forte della vita presente. Chi l'ha gustata, non solo non ha più bramosie sensibili, ma neppure desidera la vita di quaggiù e si disfa da ogni altro sentimento; occorre però si tratti della gioia vera, non di quella falsa.

L'amore è cosa più soave della vita; ancora più dolce del miele è la consapevolezza di Dio, da cui nasce l'amore. All'amore non importa se per l'amato deve affrontare morte crudele. L'amore è figlio della conoscenza; la conoscenza nasce dall'anima sana; il vigore dell'anima viene da prolungata pazienza.

Cos'è la conoscenza? Il sentimento della vita immortale.

E cos'è la vita immortale?

Percepire la realtà in Dio. L'amore infatti nasce dalla consapevolezza. E la conoscenza divina regna sopra tutti i desideri. Il cuore che riceve tale conoscenza alberga in seno una dolcezza maggiore di tutta quella che esiste sulla terra. Nulla infatti assomiglia alla soavità di conoscere Dio.

Signore, colma il mio cuore di vita eterna.

La vita eterna è la consolazione di Dio. Chi ha trovato in Dio la consolazione, considera superfluo ogni conforto del mondo.

 

  

169

 

Dai Discorsi di Isacco di Ninive.

Discorso 43. Logia,  Astir, Atene,1961,156‑157.

 

Nessuno può contemplare la bellezza che gli splende nel cuore, se prima non ha sdegnato e voltato le spalle a qualunque bellezza di fuori. Nessuno può contemplare veramente Dio se prima non ha rinunziato perfettamente al mondo.

Chi si tiene per uno dappoco e sa farsi piccolo, riceverà la sapienza dal Signore. Ma chi crede di essere sapiente per sua industria, decadrà dalla sapienza divina.

Quanto più la lingua si allontana dalle chiacchiere, tanto più ci è data la luce per interpretare le sacre Scritture. Anche la mente più dotta è conturbata dalla tempesta del multiloquio.

Chi è povero dei beni della terra, sarà ricco in Dio. Ma l'amico dei ricchi sarà povero di Dio.

L'uomo sapiente e umile, che detesta la licenza nel parlare e scaccia dal cuore qualsiasi moto iracondo, al momento della preghiera vede nel suo cuore la luce dello Spirito Santo, che svetta fiammeggiante e splendente; egli esulta di contemplare la gloria di Dio e di vedere la sua anima trasfigurata nella somiglianza divina.

Non c'è opera pari alla contemplazione di Dio capace di distruggere gli assalti dei demoni impuri.

 

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