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Letture della preghiera notturna dei certosini

 

 

AMBROGIO Di MILANO

 

330‑397

 

Origene, Eusebio di Cesarea, Didimo di Alessandria, Ilario di Poitiers avevano spiegato il salmo 118. Tuttavia, nessuno prima di Ambrogio l'aveva fatto oggetto di un commento isolato. Per quali ragioni Ambrogio vi si dedicò? Sappiamo che nella liturgia ambrosiana delle festività solen­ni, quando l'eucaristia concludeva il rito vigilare, il salmo 118 era letto subito prima della messa. A quel momento Ambrogio commentò questo sacro testo, tramite una lectio continua, che tenne impegnata la Chiesa milanese per pa­recchi mesi.

L'opera ha quindi una indubitabile origine orale e fu diretta a un pubblico misto tra una élite colta e ascoltatori più semplici. Più tardi il salmo fu destinato alla liturgia dei monasteri, ma Ambrogio, che dedicò cure particolari alla spiritualità monastica, già inserisce qui applicazioni proprie alla vita del chiostro. Ci sono spunti del "quaerere Deum" (36), del "soli Deo " (33), per non parlare dell'insi­stenza del "redire ad cor" (36, 34, 38).

L'opera raccoglie 22 omelie a commento delle 22 strofe con cui il salmo 118 tesse l'elogio della legge. L'autore presenta i mezzi utili per raggiungere la perfezione. L'esegesi di tipo morale si occupa della conversione dell'anima, attraverso l'esortazione alla sequela Christi. Poco predispo­sto alla speculazione, Ambrogio eccelle per la cura pastora­le, che lo fa un maestro di vita più che un teorico.

La sua esegesi della Scrittura si rifà a Origene. Di lui Ambrogio condivide l'amore instancabile per la Parola di Dio. Nella lettura 32 si dà uno scambio tra Parola di Dio e anima. Da un lato la Parola costituisce il cibo dell’anima e quindi la vita dell'anima, purché questa l'accolga e la faccia diventare sangue del proprio sangue. Dall'altro, l'anima, assimilando la Parola, la fa crescere in sé, la dilata, la moltiplica. Soprattutto in due modi: con la comprensione sempre più piena della Parola e con la rispondenza del comportamento.

Qui Ambrogio lega potentemente, come appunto forse solo Origene aveva saputo fare, l'attività esegetica alla vita spirituale, sottraendo la prima ad un tecnicismo intellettuale che da solo non ha le forze per far sprigionare dalla Parola tutta la potenza in essa contenuta. Non si dà comprensione senza risposta.

Più di Origene, Ambrogio spicca per l'attenzione cristo­logica, che ci vale pagini ammirabili su Cristo. La salvezza è affidata all'inabitazione del Verbo nell'anima (37), pero la redenzione dell'uomo in Cristo avviene ad opera proprio dell'umanità di Cristo: "Il Signore Gesù è disceso fino a noi per dischiudere le porte sbarrate" (34. cf. 35). Ambrogio canta la comunione con il Figlio di Dio con accenti appassio­nati e inesauribili: "Cristo è per te ogni possesso: il suo nome è la tua ricchezza, il suo nome è il tuo profitto" (33).

Con il tono ardente che gli è abituale, con gli accenti delicati e toccanti che preannunciano san Bernardo, ci coinvolge nella sequela del Signore. "Cristo beve le mie amarezze per donarmi la dolcezza della sua grazia " (35. Cf. 34)

Gesù è pane vivificante, perché in lui la vita divina penetra la terra e l'umanità. L'eucaristia è dunque potenza "oggettiva" che chiede di essere ricevuta nella fede per trasfondere l'energia divina all'interno di un incontro che pero non dipende dall'uomo. Questi potrà solo favorire (o limitare) il diffondersi del fuoco eucaristico nella sua anima e nel suo corpo (35).

Il commento a questo salmo è portatore di una morale già finalizzata all'incontro mistico. È interessante rilevare però come l'interpretazione mistica non sia accostata e successiva all'interpretazione morale, perché l'autore presenta invece un'interpretazione morale‑mistica congiunta. Così Ambrogio può affermare che scorgere nella legge il mistero di Cristo è come trasformare la legge da vincolo obbligante in scelta d'amore, dove non si sa più quando finisca la morale e quando cominci la mistica. Parlare perciò di "moralismo" in Ambrogio è un po' riduttivo, dato che in questo commento agevolmente riconosciamo la sua costante preoccupazione di fondere la morale in una visione globale dell'economia della salvezza, (34. 36).

L'esegeta propone dunque un discorso che muove dalle più vicine articolazioni morali per approdare al più elevato incontro dell'anima con il divino, al quale la morale deve servire (33. 37).

 

 

 

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