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Letture della preghiera notturna dei certosini

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Anno A

 

Tempo Ordinario

 

Prima settimana

 

32

 

Dal Commento al salmo 118 di sant'Ambrogio.

In Psalmum CXVIII Expositio, sermo VI 1,6‑7. PL 15,1282‑1283.

 

Questo mi consola nella miseria: la tua parola mi fa vivere. Nel tempo della nostra umiliazione, nostra consola­trice è la speranza che non ci permette di smarrirci.

Io credo che il tempo della prova sia quello dell'umilia­zione della nostra anima. Infatti essa viene umiliata quando è lasciata in balia del tentatore, per essere messa alla prova con dure fatiche e sperimentare così nella lotta e nello scontro l'attacco della potenza avversaria. Ma in queste prove le viene infusa vita da Dio, che le rivolge la sua parola.

Questa parola è la sostanza vitale dell'anima nostra; la nutre, la fa crescere, la dirige. Non c'è null'altro che possa far vivere l'anima ragionevole come la parola di Dio.

Come infatti cresce il dialogo con Dio nell'anima no­stra, quando la sua parola viene accolta, capita, trattenuta, così cresce anche la vita dell'anima. Viceversa, quando viene a mancare la parola di Dio nell'anima, succede che anche la vita dell'anima venga meno. Pertanto, come l'unio­ne dell'anima e del corpo è animata, nutrita e sostenuta dal soffio vitale, così l'anima nostra è vivificata dalla parola di Dio e dalla grazia spirituale.

Perciò dobbiamo cercare in ogni modo ‑ come cosa primaria rispetto a tutto il resto - di raccogliere in noi le parole di Dio e di trasfonderle nel nostro intimo, nei sentimenti, nelle sollecitudini, nei pensieri e nelle azioni. Solo così i nostri atti corrisponderanno alle parole delle Scritture e il nostro agire non sembrerà discordare dai precetti celesti. Allora potremo dire anche noi: La tua parola mi fa vivere.

 

33

 

Dal Commento al salmo 118 di sant'Ambrogio.

Op. cit., sermo VIII,7. PL 15,1296‑1297.

 

Pietro, spiegaci cosa sia questo possesso che affermi di avere, tu che hai detto di aver lasciato tutto. Così infatti hai parlato al Signore: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito. In altri termini: noi non abbiamo cercato i beni di questo mondo, non abbiamo desiderato di aver la nostra parte di proprietà, ma abbiamo scelto te come nostra sorte.

Dunque, tu, Pietro, hai già lasciato quello che avevi. Da dove allora ti è venuto quello che dici di avere? Lo storpio si alza e si regge in piedi al suono della tua voce: doni la sanità agli altri, proprio tu che avevi bisogno di cure per la tua salute.

Dunque hai lasciato quello che avevi e hai ricevuto quello che non avevi. La tua parte è Cristo, Cristo è per te ogni possesso, il suo nome è la tua ricchezza, il suo nome è il tuo profitto, il suo nome paga per te i tributi e tributi di valore, perché non sono in denaro ma in grazia. Conserva­ti la parte che hai scelta: è una sorte che le ricchezze terrene non possono uguagliare!

Che cosa potrebbe esser dato ancora a coloro ai quali Dio dice: Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò?

Che cosa mai c'è di più splendido che ospitare il Cielo? Quale felicità più grande che possedere Dio? Gli altri si lamentano dell'esiguità dei loro campi; in te Dio trova un podere vastissimo, dove egli dice di passeggiare, cioè di trovare largo spazio per abitarvi, lui che contiene nella mano tutta la terra. Sta scritto infatti: Chi ha misurato con il cavo della mano le acque del mare e ha calcolato l'estensione dei cieli con il Palmo?  Tu sei un’ampia dimora per colui davanti al quale tutto il mondo è come un nulla. Mia parte è il Signore lo dice il martire. E noi per lui viviamo, se è una gloria morire per lui.

 

 

34

 

Dal Commento al salmo 118 di sant'Ambrogio.

Sermo 12,4‑6. PL 15,1361‑1362.

 

Solleviamo e innalziamo i nostri pensieri, e non giudi­chiamo impossibile che questa debolezza del nostro corpo d'uomini si spinga fino alla conoscenza delle mistiche realtà del Cielo. Tanto più che ormai il Signore Gesù, nel quale erano nascosti i tesori della conoscenza e della sapienza, è disceso fino a noi nella sua divina misericordia, per di­schiuderci le porte sbarrate, per aprirci gli enigmi, per rivelarci i segreti. Vieni, dunque, Signore Gesù, apri anche a noi la porta di questo profetico discorso. Molti lo trovano oscuro, anche se a prima vista sembra chiaro.

La tua parola, Signore, è stabile come il cielo. Tu puoi vedere come anche in te debba durare ciò che in cielo dura e persiste. Mantieni dunque fede alla parola di Dio e mantienila nel tuo cuore; conservala in modo da non scor­dartene. Mantieni fede alla legge del Signore e meditala, perché le opere con cui il Signore giustifica non scivolino fuori dal tuo cuore. Il senso letterale ti insegna a mantenere fede ad essa con scrupolosità. Te lo insegna, il profeta dicen­do: Se la tua legge non fosse la mia gioia, sarei perito nella mia miseria. Mai dimenticherò i tuoi precetti.

Dunque, la meditazione della legge ci mette in condi­zione di sostenere con pazienza i momenti di tribolazione, i momenti in cui qualche fatto ostile ci umilia; e questa riflessione ci impedisce di abbatterci in uno stato d'animo di eccessiva prostrazione e di scoraggiamento. Tant'è vero che il Signore non vuole che l'umiliazione ci abbatta fino alla disperazione, ma fino ad un cocente rimprovero.

Così anche il profeta Geremia esclama: Dalla bocca dell'Altissimo non procedono le sventure. Dunque, l'umilia­zione che viene dal Signore è piena di giustizia, è piena di rettitudine, perché il male non viene da Dio. Tant'è vero che chi veniva umiliato dal Signore diceva: Ero misero ed egli mi ha salvato.

 

 

35

 

Dal Commento al salmo 118 di sant'Ambrogio.

Sermo 18,26.28‑29. PL 15,1461‑1463.

 

Io sono  piccolo e disprezzato, ma non trascuro i tuoi precetti. Ho l'angusta partecipazione ai beni del cielo.

Già sono accolto all'onore della mensa celeste. Per procu­rarmi il cibo non ci vogliono piogge abbondanti né la laboriosa produzione della terra né i frutti degli alberi. Per togliermi la sete non devo cercare fiumi o sorgenti: Cristo è il mio cibo, Cristo è la mia bevanda; la carne di un Dio mi sostiene, il sangue di un Dio mi disseta.

Per saziarmi ormai non aspetto i raccolti annuali, poiché Cristo mi viene offerto ogni giorno. Non avrò paura che qualche intemperie meteorologica o qualche improdutti­vità agricola mi pregiudichi il cibo, purché la devozione me lo preservi con cura assidua. Non bramo più che piovano quaglie, le quali prima mi parevano un miracolo, né la man­na, che prima preferivo a tutti gli altri cibi; i padri ne mangiarono, ma ebbero ancora fame.

Il mio è un cibo tale che, se lo si mangia, non si ha più fame; è un cibo che non ingrassa il corpo, ma irrobusti­sce il cuore dell'uomo.

Avevo avuto anche prima,un miracoloso pane dal cielo (infatti sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cie­lo) ma quello non era il vero pane, bensì solo figura di quello futuro. Il pane del cielo, quello vero, mi è stato tenuto in serbo dal Padre.

Ascoltate quello che dice il Signore stesso: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete. Voi l'avete udito, l'avete visto, e non gli avete creduto: perciò siete morti. Credete almeno a­desso, se volete vivere.

Dal corpo di Dio è scaturita per me una sorgente eter­na. Cristo beve le mie amarezze per donarmi la dolcezza della sua grazia.

 

  

36

 

Dal Commento al salmo 118 di sant'Ambrogio.

Sermo 18,41‑43. ft 15,1467.

 

Per mostrare come si fa a trovare Cristo, Filippo e­sclama:Vieni e vedi. Chi cerca Cristo venga, non con i passi delle gambe, ma con l'incedere dello spirito. Cerchi di vederlo non con gli occhi dell'uomo esteriore, ma con lo sguardo interiore. L'eterno non si scorge in parvenze corporee, giacché le cose visibili sono d'un momento, quelle invisibili sono eterne.

Ora, Cristo non è nel tempo, ma è generato dal Padre, prima del tempo; in quanto Dio, vero Figlio di Dio, e in quanto perfezione eterna, è fuori del tempo, e nessun limite di tempo lo circoscrive; in quanto è vita al di là del tempo, come tale non sarà mai raggiunto dal giorno della morte.

Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Comprendi ciò che ha  detto l'Apostolo? Egli morì al peccato una volta per tutte. Una volta per  sempre Cristo è morto per te che sei peccatore. Non perdere, o uomo, questo grande vantaggio! Per te Cristo si è assogget­tato al potere della morte, per liberarti dal giogo di quel potere. Egli ha preso su di sé la schiavitù della morte per renderti la libertà della vita eterna.

Perciò chi cerca Cristo cerca anche i suoi patimenti e non ne evita la passione. Nell'angoscia ho gridato al Signo­re, mi ha risposto e mi ha tratto in salvo. Com'è buona quella sofferenza che ci rende degni di essere ampiamente esauditi dal Signore! Essere esauditi dal Signore Dio nostro è pero una grazia.

Allora, chi cerca l'affanno, non lo evita. Chi non lo evita ne viene trovato. Non lo evita l'uomo che riflette sui comandamenti di Dio con il pensiero e con l'azione.

 

   

37

 

Dal Commento al salmo 118 dì sant'Ambrogio.

Sermo 19,36.38‑39. PL 15,1480.1481.

 

Tu, signore, sei vicino, tutti i tuoi precetti sono veri .

Il Signore è vicino a tutti, perché è in ogni luogo. Non pos­siamo sfuggirgli se lo offendiamo, né farla franca se sba­gliamo, né perderlo se ci nascondiamo. Dio osserva ogni cosa, vede tutto, sta al fianco di ognuno, dicendo: Io sono un Dio vicino.

Dove mai non potrebbe penetrare il Verbo di Dio, lo splendore eterno che illumina anche le riposte profondità del cuore, là dove nemmeno il sole fisico può penetrare? Il Verbo di Dio è una spada spirituale che penetra fino a dividere l'anima, le membra e le midolla. Di esso il giusto Simeone dice a Maria: Perché siano svelati i pensieri di molti cuori, anche a te una spada trafiggerà l'anima.

Il Verbo di Dio trapassa dunque l'anima e la rischiara tutta come un chiarore di luce eterna. E sebbene egli abbia una potenza che si estende attraverso tutti, che tutti rag­giunge e che sta sopra tutti ‑ perché per tutti egli è nato da una vergine, per i buoni e per i malvagi, come sopra buoni e malvagi fa nascere anche il suo sole ‑, tuttavia egli riscalda unicamente chi gli si avvicina.

E come tiene lontano da sé lo splendore del sole chi chiude le finestre della sua casa e sceglie di vivere in un luogo tutto buio, così chi volge le spalle al Sole di giustizia non può contemplarne lo splendore e cammina nelle tenebre; e mentre tutti godono della luce, lui stesso diventa causa della propria cecità.

Spalanca allora le tue finestre al Verbo di Dio, affinché tutta la tua casa sia illuminata dallo splendore del vero Sole! Apri bene gli occhi, per mirare il Sole di giustizia che sorge per te.

 

38

 

Dal Commento al salmo 118 di sant'Ambrogio.

Sermo 20,54 ‑55. PL 15,1501.

 

Vedi che io amo i tuoi precetti, Signore, secondo la tua grazia dammi vita.

Rivolgendosi a Dio il salmista lo invita a posare lo sguardo sul suo sentimento pieno di amore.

Nessuno chiede di esser guardato se non chi pensa di poter piacere.

Il salmo dice bene vedi anche in ossequio alla legge, la quale comandava che ciascuno si presentasse tre volte all'anno davanti al Signore. Il santo ogni giorno offre se stesso, ogni giorno si presenta davanti a lui, e non a vuoto. Non può essere vuoto colui che ha ricevuto parte della pienezza dell'Altissimo.

Ascolta in che modo anche tu devi offrirti a Cristo.

Non con doni materiali, visibili, ma sotto un aspetto celato, nel nascondimento, affinché il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompensi e ripaghi il tuo atteggiamento di fede.

Amo ‑ dice il salmo ‑ i tuoi precetti.  Non dice “li ho osservati” e nemmeno “li ho custoditi", poiché gl'imprudenti non hanno custodito le prescrizioni del Signore. Chi però ha una perfetta comprensione, una perfetta conoscenza, questi ama, che è ben più di osservare: l'osservanza per lo più dipende da costrizione e da paura, l'amore invece è segno di carità. L'osservanza è messa in pratica da chi annuncia il vangelo, ma riceve la ricompensa colui che lo annuncia liberamente. Quanto più allora riceve la ricom­pensa colui che lo ama! Possiamo anche non amare quel che  vogliamo, ma non possiamo non volere quello che amia­mo.

Ma per quanto grande possa essere la ricompensa dell'amore perfetto, chi ama chiede anche il conforto della divina misericordia, perché in essa il Signore gli infonde vita. Non è dunque un arrogante esattore di una ricompensa dovuta, ma un timido supplicante della misericordia divina.

 

Letture della preghiera notturna dei certosini

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Anno C

 

Tempo Ordinario

 

Prima settimana

 Figli del Padre

 Lo Spirito Santo dipinge in noi lo rassomiglianza con Dio (33). Infatti, grazie alla potenza del divino Santificatore che purifico la nostra mente e il nostro corpo, diventiamo poco alla volta sempre più fratelli di Cristo e figli del Padre celeste (35). Quando recitiamo il Padre nostro, proclamiamo la grazia della nostra filiazione ed aspiriamo alla suo pienezza (34.36.37)

 33

Lunedì

 

Dalle "Considerazioni sulla fede" di Diadoco di Fotica.

N.89. PG 65,1203.

 

Con il battesimo di rigenerazione la grazia divina ci trasmette due beni, di cui l'uno supera infinitamente l'altro. Ci elargisce subito il primo, quando con la stessa acqua cancella ogni macchia di peccato e rinnova lo splendore dell'immagine divina in ogni tratto della nostra anima; per elargirci il secondo poi, che è quello della somiglianza, attende la nostra cooperazione.

Quando dunque l'intelletto comincia in un senso profondo a gustare la bontà dello Spirito Santo, dobbiamo comprendere allora che la grazia comincia a dipingere nell'immagine la rassomiglianza. Con la medesima tecnica, con cui, infatti, i pittori in un primo momento disegnano lo schizzo d'una figura umana con un solo colore, e poi stendendo poco alla volta tinta su tinta con varia intensità di accordi rendono l'aspetto del modello fino alle sfumature dei capelli, anche la grazia di Dio prima col battesimo armonizza le linee dell'immagine secondo il modello dell'uomo quale fu creato all'inizio.

 Quando poi essa ci vede tutti protesi verso lo splendore della somiglianza e tenerci nudi e intrepidi là dove essa opera, allora non fa che stendere in accordo di toni virtù su virtù, e di splendore in splendore sublima le fattezze dell'anima fino a formare in lei i caratteri della somiglianza.

 Ne segue quindi che il senso spirituale ci avverte che andiamo conformandoci alla somiglianza; ma la perfezione di questa la conosceremo solo con l'illuminazione. L'intelletto infatti nel suo progresso riceve le altre virtù con il senso spirituale, ma nessuno può far acquisto dell'amore spirituale se non è illuminato dallo Spirito Santo in totale pienezza.

 

 

34

Martedì

 

Dal "Commento al Padre nostro" di san Massimo il Confessore.

FG 2°,297s.311.

 

Cominciando questa preghiera siamo condotti a venerare la Trinità consustanziale e sovrasostanziale, come Causa creatrice della nostra nascita. E impariamo inoltre a proclamare la grazia a noi concessa della filiazione, perché siamo fatti degni di chiamare Padre per grazia colui che è nostro creatore per natura. Così, pieni di riverenza per il titolo del nostro genitore per grazia, siamo solleciti nel mostrare nella nostra vita i caratteri di chi ci ha generati, santificando il suo nome sulla terra, imitandolo come padre, mostrandoci figli con le nostre azioni, e magnificando con ciò che pensiamo e facciamo, il Figlio naturale del Padre, autore di questa filiazione.

 Noi santifichiamo il nome del nostro Padre celeste per grazia, quando mortifichiamo la nostra concupiscenza attaccata alla materia e ci purifichiamo delle passioni corruttrici. Il nostro scopo, nella preghiera, tenda dunque a questo mistero della deificazione, affinché possiamo conoscere da quale stato ci ha presi e che cosa ha fatto di noi l'annientamento nella carne dell'Unigenito; e conosciamo da dove e dove, con la potenza della sua mano amante, ha fatto risalire noi che avevamo toccato il punto più basso di tutto, a cui il peso del peccato ci aveva sprofondati. Ameremo così di più Colui che ha sapientemente preparato per noi una tale salvezza. Mostreremo con le nostre azioni il compimento della preghiera e appariremo annunciatori di Dio, nostro vero Padre per grazia.

 

35

Mercoledì

 

Dalle "Omelie" attribuite a san Macario l'egiziano.

Horn XIV,3-5. PGL 19,1228s.

 

Il divenire fratello e figlio di Cristo implica l'adempimento di qualcosa di straordinario rispetto a quanto viene comunemente compiuto dagli uomini, occorre, cioè sacrificare persino il cuore e la mente, insieme con i pensieri, per dirigerli verso Dio. Il Signore così concede in modo misterioso la vita e il soccorso al cuore, affidandogli sé stesso. Se uno infatti consacra a Dio la propria intimità, ossia la mente e i pensieri, senza più occuparsi né essere distratto da altri interessi e preoccupazioni, ma anzi, facendo violenza a sé stesso, allora l'Altissimo lo rende partecipe dei misteri; gli somministra sé stesso, in assoluta purezza e santità, come cibo celeste e bevanda spirituale.

 Quelli che siano entrati in possesso della vera eredità, sono come i figli generati dal Padre celeste; abitano nella casa del Padre loro, come avverte il Signore: Lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre (Gv 8,33). Se vogliamo anche noi diventare figli del Padre celeste, dobbiamo compiere qualcosa di più degli altri uomini, con sollecitudine e volontà ferma; con un amore ardente e con la santità della condotta abbiamo da vivere nella fede e nel timore, animati dall'intento di conquistare dei beni così preziosi e divenire eredi di Dio. Il Signore stesso è infatti la nostra parte.

 

 

36

Giovedì

 

Dal "Commento al Padre nostro" di san Gregorio di Nissa.

Oratio H. PGL 24,599.601-602.

 Quando il Signore ci insegna nella preghiera a chiamare Dio Padre, mi sembra non faccia altro se non stabilire una vita sublime ed elevata; infatti la verità non ci insegna certo a mentire: a dire quello che non siamo: a chiamarci col nome che non abbiamo avuto per natura. Vuole invece che mentre affermiamo incorrotto, giusto, buono nostro Padre, riconosciamo autentica la parentela che ci lega a lui. Vedi di quale vita abbiamo bisogno? Capisci quanto e quale amore ci necessita per elevare la nostra coscienza a tanta libertà di parola da osar dire a Dio Padre?

 E chi si è conformato alla nobiltà divina, chiamando Padre il Re dei cieli, e sua patria la beatitudine celeste, guarda verso di essa. Il suo intendimento lo porta a considerare le realtà superne dove è Dio; a porre lì le fondamenta della propria casa; a collocare lì i tesori del cuore; a guardare sempre verso la bellezza paterna e adornare la propria anima come è quella. Il divino è puro da invidia e da ogni macchia viziosa. Non lo contrassegnano neppure le passioni come l'invidia o la superbia: nulla di ciò contamina la bellezza divina. Se tale sei, invoca pure Dio con voce familiare, osa dire Padre a colui che è padrone di tutto. Egli ti guarderà con occhi paterni, ti circonderà della stola divina, ti adornerà con l'anello, ti preparerà i piedi per il viaggio verso l'alto con i calzari evangelici, ti riporterà nella patria celeste.

 

37

Venerdì

Dal "Trattato sulla preghiera" di Evàgrio il pontico.

Les leçons d'un contemplatif, Paris, 1960, 83ss. e nn. 14 e 119.

Il santo abate Evagrio commentava la preghiera che è nel vangelo secondo Matteo: Padre nostro, che sei nei cieli (Mt 6,9). Questa preghiera è capace di condurre l'uomo alla sua natura primitiva, se le prestiamo tutta la nostra attenzione. Dire Padre nostro, che sei nei cieli è una parola che conviene a chi ha intimità con Dio, come il figlio che riposa sul seno del Padre. Sia santificato il tuo nome: vale a dire il tuo nome sia santificato fra di noi, ricevendo gloria dalle nostre opere buone, mentre lo celebreranno le genti dicendo: ecco i veri servi di Dio. Venga il tuo regno. Il Regno di Dio è lo Spirito Santo. Noi preghiamo che il Padre lo faccia scendere su di noi. Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. La volontà di Dio è la salvezza di ogni anima razionale. Quanto si attua nelle potenze celesti, noi supplichiamo che avvenga anche sulla terra. Il nostro pane di domani sarà l'eredità divina, Dio stesso; ora supplichiamo che per il presente ce ne dia il pegno, cioè in questo secolo si faccia sentire in noi la sua dolcezza, provocandoci una sete ardente.

Se dunque aspiri a vedere il volto del Padre che è nei cieli, non cercare in nessun modo durante la preghiera di percepire qualche forma o immagine. E' beata la mente che nel momento della preghiera diventa immateriale e priva di possessi.

 

 

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