La vita in cella 

 

 
 

LA VITA IN CELLA

Resta quieto nella tua cella;

essa ti insegnerà tutto.

(Abba Mosè)

SOLITUDINE

Le pareti della cella sono per te il recinto di una terra santa, un porto di riposo e di pace, ma altresì il luogo del tuo combattimento d'amore con il Signore.

Se persevererai in essa, morirai al tuo peccato, in croce con Cristo, e vivrai con Cristo nell'amore per il Padre, per tutti gli uomini, per il mondo intero.

Bisogna imparare ad interiorizzare la solitudine della cella, a vivere un'intensa vita spirituale tra le quattro mura della medesima, allontanando ogni divagazione della mente sia riguardo al passato che al futuro, vivendo il momento presente alla presenza di Dio e nel suo amore.

Devi amare la cella e coltivare quest’amore; di conseguenza dovrai evitare le occasioni di uscire, all'infuori di quelle previste dalla regola. Conviene approfittare delle uscite regolamentari per sbrigare affari non urgenti. Per esempio cogliere l'occasione delle uscite per gli Uffici divini, per recarsi dal padre maestro, per imbucare una lettera, per consegnare o chiedere un determinato oggetto ...

E' un dovere di carità rispettare anche la solitudine altrui. Non si entra mai nella cella di un confratello senza il permesso del padre maestro. Avuto il permesso, se si tratta di una cosa che si può sbrigare in brevissimo tempo, ci si ferma sulla soglia della porta della cella; altrimenti si entra, lasciando socchiusa la porta esterna.

La solitudine deve essere osservata più rigorosamente nei giorni di astinenza, come pure nelle ore del grande silenzio, cioè dall'Angelus della sera fino a quello del mattino, tempo consacrato in modo particolare alla preghiera.

SILENZIO

Il Signore risiede nel suo santo tempio. Taccia, davanti a lui, tutta la terra!     (Ab 2,20)

Il silenzio riempie gli spazi immensi del Regno di Dio. Esso ci permette di penetrare profondamente nel nostro cuore, di accogliervi la Parola, che è Dio stesso che proclama eternamente il suo amore.

Ciò che conta è il silenzio interiore, che fa tacere le voci discordanti delle nostre passioni e del nostro egoismo.

Tutto questo richiede una disciplina non sempre facile agli inizi. Il silenzio esteriore ti porta un valido aiuto. Se lo osserviamo fedelmente, dal nostro stesso silenzio nasce qualcosa in noi che ci attrae a più silenzio ancora.

Che Dio ti faccia provare cosa nasce dal silenzio. Se ti metti per questa strada, non puoi immaginare che gran luce sorgerà un giorno in te. Dopo un certo tempo, questa pratica suscita nell'animo una tale dolcezza, che costringe lo stesso corpo a rimanete in silenzio. (Isacco di Ninive).

La parola è preziosa. Il monaco non ne farà cattivo uso, né la sprecherà. Il silenzio lo educherà al vero e a parlare con giustizia e carità.

Per rispettare il silenzio altrui, non parliamo con un confratello senza un permesso speciale, eccezione fatta per il monaco incaricato dal padre maestro, per tutto ciò che riguarda il suo ufficio. Quando abbiamo il permesso, badiamo sempre di non utilizzarlo per chiacchierare, ma solo per dire ciò che è veramente necessario.

Nel tempo del grande silenzio, questo va osservato più rigorosamente. Suonata quindi l'ora di Compieta ci si deve pure astenere da ogni occupazione rumorosa.

QUIETE

Nella vita di cella, il monaco attraverso la fedeltà alla solitudine ed al silenzio potrà pervenire a quella “quiete” che, nella semplicità e nella gioia, lo farà incontrare con Dio.

Semplicità

Cercate il Signore nella semplicità di cuore. (Sap 1,1)

La parola 'monaco' deriva dal greco 'monos': solo, uno, o meglio semplice. E' semplice ciò che è uno, indivisibile, non disperso. Il monaco, nella misura in cui è monaco, è semplice. Tutto è ordinato in lui ad un unico fine: l'unione con Dio. Tutto in lui è ordinato secondo la legge dell'amore.

Semplicità non vuol dire mancanza; tutte le ricchezze della natura umana, sbarazzate dall'accessorio si fondono nell'unità dell'amore, come i diversi colori si fondono nella luce pura. La semplicità infinita di Dio comprende tutte le ricchezze dell'essere.

La maledizione dell'uomo decaduto si manifesta nello sparpagliamento delle sue passioni e delle sue potenzialità su una moltitudine di oggetti parziali e incapaci di soddisfarlo. La vita monastica, e soprattutto solitaria, mira ad unificare tutte le energie dell'uomo nell'Essenziale, nell'amore e nella verità. Purezza di cuore e intenzione unica. Evitiamo quindi in cella tutto ciò che ci disperde, ogni complicazione di vita, ogni superfluo.

Riduciamo la molteplicità di tutti i nostri pensieri ad un solo Pensiero, Cristo. Amiamo d'un solo Amore tutto ciò che ci è dato da amare.

La preghiera pura è la semplicità in atto. Semplice, essa è riposo e pienezza. E' Amore.

Gioia

Entra nella gioia del tuo Signore. (Mt 25, 21)

Chi scopre il tesoro, pieno di gioia, vende tutto ciò che possiede.

S. Bruno aveva sempre la gioia sul volto. Riflesso di Dio. Là dove si sarebbe potuto attendere di trovare un viso duro ed esangue di asceta, si trova l'irraggiamento di una semplice gioia. Trionfo della vita di Cristo in lui. La gioia che anima il monaco è frutto dello Spirito, figlia dell'amore: è la gioia di Cristo.

Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. (Gv 15, 10-11).

La gioia di Cristo in noi è così forte da coesistere con la sofferenza. E' la gioia pasquale. Le sue radici s’immergono nelle profondità della nostra fede, al di là del sensibile. Unita a Dio, essa possiede tutto. Non può che trasformare tutto il nostro essere.

Rendiamo gioia per gioia, poiché noi possiamo rendere felice Dio.

Non abbiamo paura di mostrarci gioiosi in tutta semplicità. Il Signore ama chi dà con gioia.

Seminare la gioia nel cuore del prossimo è una delicatezza dell'amore fraterno. La vita divina è gioia eterna.

Questa gioia nessuno ve la rapirà (Gv 16, 22).

Quiete

Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime.   (Mt 11, 29)

Tranquillità, quiete, riposo: queste parole ritornano molte volte nei nostri Statuti, come in tutta la tradizione del monachesimo orientale (esichìa) e occidentale (quies - otium). Non si tratta di una nozione negativa, di assenza di azione.

Nella tradizione designa sovente tutta la vita eremitica. Si può considerarla come un mezzo per eccellenza, che implica silenzio, solitudine, distacco dalla vita mondana, per tendere verso Dio nella preghiera. La quiete evoca l'atteggiamento fondamentale del contemplativo che ha lasciato tutto per occuparsi delle cose di Dio. Come Maria di Betania, egli si siede ai piedi del Signore in un atteggiamento di ascolto e di disponibilità dinanzi alla Parola di Dio che lo genera a una vita divina. E' questa la parte del certosino, la nostra parte.

Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza.
(Is 30, 15).

Si può considerare l'esichìa anche lo scopo verso cui tende il monaco, cioè l'unione intima con Dio ove tutte le facoltà dell'anima sono nel riposo del possesso del loro oggetto. Così la preghiera che il monaco impara stando in cella, viene chiamata “preghiera di quiete”.