Da La Santissima Trinità e la vita soprannaturale 

 

 

 

Da La Santissima Trinità e la vita soprannaturale

 

Il Padre si esprime nel figlio suo, e si contempla in esso con una compiacenza infinita. Gli fa dono di tutta la sua sostanza. Si ritrova integralmente nel Figlio; e il Figlio contempla a sua volta nel Padre il tesoro inesauribile dell'Essenza che è lui stesso. “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Mc l,11). “Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie” (Gv 17,10). I1 pensiero del Padre e del Figlio è il medesimo, unico, assoluto. Una stessa verità, una medesima frase con la sola inversione del te e del me. “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio” (Mt 11,27).

È come uno scambio eterno e immobile di luce increata, una corrispondenza perfetta di conoscenza e di riconoscenza. “Come il Padre conosce me e io conosco il Padre” (Gv 10,15). I1 Figlio riceve incessantemente la vita dal Padre, ed è questo tutto il suo essere. “Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso” (Gv 5,26).

Quando nell'oceano due correnti opposte si urtano e si fondono, la violenza della loro stretta si risolve in un getto immenso che sembra voler toccare il cielo. Talvolta il divino Spirito è stato paragonato a questo zampillio. II Padre e il Figlio essenzialmente uniti in uno stesso amore non sono che un unico Principio della spirazione dello Spirito. Lo Spirito che è chiamato “Santità di Dio” procede dalla loro unione nella stessa unità essenziale, “caritas de caritate”. La vita del Padre e del Figlio è dunque la spirazione dello Spirito nell'amore, e la vita dello Spirito è di procedere dal Padre e dal Figlio, è la sovrabbondanza eterna della carità senza misura. “La carità, che è il vincolo di perfezione” (Col l,14).

Questa reciprocità di dilezione infinita, nella semplicità di una medesima essenza, è la sostanza della realtà. Tutto ciò che vediamo, esseri ed avvenimenti, cos'è se non una debole eco, un tenue e quasi spento miraggio di questa unica realtà? Così dunque la vita delle tre Persone può riassumersi in queste parole: “Deus caritas est”. “Essere più Persone nella stessa divinità non è altro che essere tre ed avere lo stesso ed unico amore. È l'Amore supremo, ma con una proprietà differente in ciascuna Persona. La Persona non è altro che l'Amore supremo con una proprietà che la distingue” (Riccardo di S. Vittore, De Trin.,lib. V, c. 20).

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Gli ebrei e i saggi dell'antichità pagana veneravano un Dio unico e solitario. La rivelazione ci ha insegnato ad adorare nel nostro Dio un “noi” vivente di tre Persone che si abbracciano eternamente. Il pensiero umano non avrebbe potuto immaginare un tale mistero, ma avendolo conosciuto per divina grazia, il nostro concetto dell'Essenza prima è diventato incomparabilmente più ricco e più profondo. Per accettare questa scienza nuova e propriamente divina, ci è necessario spezzare le categorie della nostra intelligenza naturale. È forse in questo che il profeta intravide la scienza di Dio che invadeva la terra come la marea onnipossente di un nuovo oceano, facendo straripare i fiumi, rovesciando le dighe, inondando le pianure e ricoprendo le vette delle montagne: “La saggezza del Signore riempirà il paese come le acque ricoprono il mare” (Is 11, 9).

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Allorché contempliamo i misteri della provvidenza e dell'amore divino, è necessario che il nostro sguardo sia semplice. Più i nostri pensieri saranno semplici, più saranno profondi e veri. Ed è infatti nella misura della loro semplicità, che si avvicineranno ai divini concetti.

Che crei il mondo o si riposi al settimo giorno, che riscatti l'uomo decaduto o lo faccia partecipe della sua gloria, Dio non cambia mai. Non fa che una cosa: essere Colui che è. È il proprio Essere che egli contempla e ama nel suo Verbo: “specchio senza macchia”, (Sap 7,26). È il suo Verbo che egli guarda con infinita compiacenza nel Cristo: “immagine del Dio invisibile" (Col 1,l5). È il suo Cristo che egli vede ed ama nelle anime santificate: “conformi all'immagine del Figlio suo” (Rm 8,29). È dicendo il Verbo che egli opera tutte le cose, ed è in questo medesimo Verbo che esse fanno ritorno alla sua sostanza nello Spirito Santo. Il primo Adamo, che fu costretto ad abbandonare l'Eden, non fu che una figura. L'Adamo archetipo, il nuovo Adamo, il vero uomo, l'opera di Dio, è il Cristo. “Ecce homo” (Gv 19,5).

«Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Poiché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli” (Col 1,15-20).

Per la santa umanità del Verbo incarnato l'anima si eleva fino alla Divinità. Si sentirà allora schiacciata dalla divina giustizia; ma attirata quindi dalla misericordia s'immergerà nell'amore dove contemplerà per sempre la Bellezza, la Bontà e la Verità eterne.

Riconciliati per il Cristo e in lui, abbiamo accesso al Padre nello Spirito Santo. ”Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito” (Ef 2,18). Ciò riassume l'economia di tutti i misteri divini manifestati nel tempo: creazione, incarnazione, redenzione, glorificazione; questi miracoli dell'amore non fanno che illustrare il mistero dell'Amore infinito, uno in tre Persone. “Il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi” (Col 1,26). Così tutto è restaurato nel Cristo e ricapitolato nel Verbo che eternamente raggiunge il Padre nella spirazione dello Spirito, nella pienezza dell'Essenza.

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Dovremo, in una prima fase della vita spirituale, vuotarci di noi stessi con una lotta incessante e senza pietà contro tutte le forme dell'amor proprio.

Il peccato, spezzando l'alleanza fra il Creatore e la sua creatura, ha distrutto le interiori armonie dell'anima, e la nostra vita, separata dalla sorgente, è interamente disorientata e turbata. Ci siamo ribellati contro Dio ed ecco che, per conseguenza, i sensi si ribellano in noi contro la ragione. Invece di mantenere nella luce divina questo volto naturalmente rivolto verso il cielo. “Os hominis sublime...”, ci siamo abbassati verso la terra, e la concupiscenza delle realtà materiali ci ha attratti. Ma Dio, secondo la parola della Scrittura, aveva fatto l'uomo retto, ed è per riacquistare questa rettitudine primitiva che dovremo lottare contro la nostra natura falsata e i nostri sensi corrotti. “Tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù” ( 1 Cor 9,27). “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23).

Non è questa l'opera di un giorno. È necessario che ciascuno di noi salga pazientemente il proprio Calvario, che si distenda sulla croce del sacrificio per una lunga agonia e, secondo tutta la sua natura decaduta, si sforzi di morire. In questo lavoro di purificazione si richiede un'applicazione ostinata e ininterrotta, ed anche quando crediamo di aver riportato vittoria, dovremo esercitare sopra di noi una stretta sorveglianza, poiché le forze inferiori del nostro essere sono sempre pronte a ribellarsi e per un istante di rilassamento le vedremo nuovamente reclamare il dominio tirannico di cui abbiamo così a lungo sofferto. Con fermezza e coraggio berremo il calice mortale, al quale, prima di noi, il nostro Fratello maggiore ha accostato le labbra divine e ci piegheremo sotto la spada rosseggiante ancora del sangue dell'Agnello. “Per te ogni giorno siamo messi a morte, stimati come pecore da macello, (Sal 43,23).

Tuttavia, il corpo non è il nostro più potente nemico, né il più tenace. Il peccato è penetrato in noi più profondamente, ed è nel centro del nostro spirito che ha deposto l'orgoglio. È qui che 1'amor proprio nasconde le sue inafferrabili radici, e se esternamente sembriamo morti a noi stessi, dobbiamo troppo spesso riconoscere che nel nostro intimo il germe del male non ha nulla perduto della sua virulenza. Il gran combattimento fra lo spirito di Dio e lo spirito proprio avrà luogo nel nostro cuore e l'esito, felice o infelice, fisserà il nostro eterno destino. Ogni uomo che vuole vivere secondo la sua dignità di essere ragionevole è obbligato a sostenere questa lotta.

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Funesta sarebbe l'illusione di coloro che credessero di potersi elevare coi propri sforzi a questa vita superiore alla quale nell'ordine soprannaturale, siamo chiamati. Dobbiamo certamente fare degli sforzi, ma è la grazia che li provoca, li accompagna, li sostiene, ed è ancora essa che li corona. “È Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare” (Fil 2,13). “Egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia” (Tt l,5).

Comprendere questa dottrina è uno dei maggiori benefici che possiamo ricevere dalla divina liberalità. E tale conoscenza del nostro nulla, mentre è il più gratuito dei doni, è la ricompensa che segue in qualche modo necessariamente lo sforzo generoso e perseverante. Nella lotta contro noi stessi riporteremo senza dubbio alcune vittorie, ma se spingiamo più innanzi il nostro lavoro, ci renderemo sempre più conto del compito immenso che ci resta da condurre a termine e dell'insufficienza irrisoria delle nostre precarie conquiste.

Ed è allora che, infine, ci volgeremo totalmente verso Dio e, consci ormai della nostra impotenza, ci abbandoneremo alla sua azione onnipotente e benefica; sicuri di non essere nulla, ci perderemo nella certezza che egli è tutto. Anche le stesse mancanze diverranno così pretesto ed occasione della nostra suprema vittoria. E le lacrime, nelle quali avremo lavato le nostre colpe, saranno il battesimo iniziale di una vita di abbandono è di pura confidenza: la nostra debolezza sarà la nostra forza. “Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo ... quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,9-10). “Ti bastà la mia grazia” (ibid.). “Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fil 4,1l).

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La misura del nostro abbassamento sarà la misura della vita di Cristo in noi. “Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3,30). In questa umiltà troveremo facilmente la confidenza, e l’abbandono totale in Dio, abbandono e confidenza senza riserva, senza calcolo e senza seconde intenzioni. “Chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12,25). Il Cristo non ci dà soltanto i mezzi per raggiungere il fine, ma è per “lui stesso” che dobbiamo passare: “Io sono la porta” (Gv 10,9); è lui stesso la via: “Io sono la via … Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6)

La nostra intimità con l'Agnello ci purificherà. Sono i cuori puri che fin da questa terra “vedranno Dio”. I nostri occhi interiori si dischiuderanno e cominceranno a scorgere l'eterna chiarezza, “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9). Avremo allora la forza di lasciarci prendere totalmente da Dio, e colui che è già la nostra via si manifesterà a noi come verità e vita. “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3).

Morti così a noi stessi, cominceremo a vivere in Dio. “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno” (Gv 11,25-26). Avendo così esaurito le prove di questa prima parte del cammino che conduce all'unione divina, udremo la voce del Signore: “Amico, passa più avanti” (Lc 14,10).

Allora il soffio dello Spirito colmerà l'anima nostra dei doni e delle virtù che quali balsami divini la nobiliteranno purificandola. “Levati, aquilone, e tu, austro, vieni, soffia nel mio giardino, si effondano i suoi aromi” (Ct 4,16). L'anima diviene così penetrabile alla luce increata. Illuminati e infiammati da questi raggi soprannaturali, cominciamo fin da questa terra a gustare l'eredità dei figli.

“Il Padre della gloria vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi, e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l'efficacia della sua forza” (Ef 1,17-19). “Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (Rm 8,16-17).

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Questa trasformazione dell'anima è già iniziata in ogni uomo purificato dal peccato mediante i sacramenti; ma in quelli che percorrono fino al termine la via della santità, raggiunge una misteriosa consumazione, che sembra impossibile definire poiché l'anima giunta a tali altezze ha l'impressione di non essere più lei: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Giunta a questo grado d'unione, l'anima , irradiata e inebriata di amore, non trova parole per esprimere adeguatamente ciò che essa vive. I testi della Scrittura hanno assunto per lei un nuovo splendore e un gusto fino allora sconosciuto.

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“A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati » (Gv 1,12-l3). (... ) Nell'anima che si abbandona e acconsente al sacrificio totale, nel quale si compie ogni carità, si effettua sempre più pienamente questa generazione spirituale, che non è altro se non una similitudine tutta soprannaturale della generazione eterna del Verbo.

Quest'anima non appartiene più alla generazione della terra, non è più figlia della carne e della propria volontà, ma ad ogni istante nasce da Dio. Essa vive della vita divina, conosce Dio con la medesima scienza con cui egli si conosce, lo ama con 1o stesso amore con cui Dio ama se stesso: è cambiata in Verità, in lode perfetta è pronunciata col Verbo. E finalmente è conforme all'archetipo incluso da tutta l'eternità nella volontà divina: “essa è quello che Dio vuole”. In lei si verifica la parola profetica dei libri ispirati: “Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo architetto; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te” (Is 62,5).

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Segue l'impulso divino senza sinuosità né calcoli, con un movimento così diretto e pronto che fa stupire il mondo, poiché le vie del mondo sono complicate, e i passi dell'umana prudenza incerti. Ma colui che dimora nell'umiltà perfetta, si muove liberamente sotto il soffio misterioso dello Spirito: “Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio” (Rm 8,14). (...) Lungi dalle sollecitazioni create, (l'anima) è silenziosa e interamente abbandonata alla volontà divina; talmente silenziosa che a momenti dimentica se stessa e il suo proprio nome: “Tu sarai chiamata Mio compiacimento e la tua terra, Sposata, perché il Signore si compiacerà di te” (Is 62,4). Vi è una specie di miracolo perpetuo di cui gli altri non sono che figure: la moltiplicazione della Vita. L'amore divino si diffonde nelle anime, e senza per nulla esaurirsi né dividersi, le colma delle sue ricchezze essenziali. Ogni figlio di Dio riceve la pienezza delle grazie di cui ha bisogno, e può raggiungere l'equilibrio della luce e del desiderio.

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Tutti i divini tesori che una tale anima custodisce nel più profondo segreto, tutte le grazie di cui è arricchita, sono per lei comprese in questa sola parola: “Ecco il mio Figlio diletto” (cfr. Mt 3,I7). Viviamo, è vero, in un mondo di enigmi, Dio abita in noi con una presenza sempre occulta: «Veramente tu sei un Dio nascosto» (Is 45,15). Tuttavia l'anima docile agli insegnamenti dell'amore comprende questa parola del Cristo: “Tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15). Nella fede, nelle incoercibili tenebre della fede pura, Dio le dà un presentimento di queste verità in lui stesso celate e che un giorno saranno la nostra beatitudine.

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Sia che l'anima non faccia niente di rilevante agli occhi degli uomini, o si occupi in mille lavori, ciò per lei non ha alcuna importanza; in realtà non fa che una sola cosa, vivere di Dio: è questa la sua occupazione. È il Padre che opera in lei: “Il Padre che è in me compie le sue opere” (Gv 14,10). Quest'anima è dunque “semplice col Semplice” e se immerge lo sguardo nel suo interno, vi scopre un abisso di semplicità che nulla può turbare. È questa medesima semplicità che forma la sua ricchezza, la sua forza, la sua gioia inesauribile. Riposa nella purità di Dio. “Chi mi darà ali come di colomba, per volare e trovare riposo?” (Sal 54,1). “Siate... semplici come le colombe” (Mt 10,16).

Quest'anima è stabile perché è semplice. Nessuno sulla terra è completamente al riparo da tentazioni e da colpe; ma quando, per un eccesso della bontà di Dio, il nostro sguardo penetra nel mistero della flliazione divina in noi stessi, non possiamo provar timore. “L'amore perfetto scaccia il timore” (1Gv 4,l8). “Io sono infatti persuaso che né morte né vita... potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,l8).

L'anima che si è data all'Amore possiede questa scienza inebriante, che cioè non ha per avversari e per nemici che delle cose mortali, ossia delle cose che non sono. E colui che ha scelto per amico e per sposo, colui che è suo centro e sua forma, suo tutto e suo unico, è Colui che è. Con l'Apostolo, non fa nessun caso della vita e della morte, del presente e del futuro, dei principati e delle potestà: poiché la sua gioia è più vasta di tutti gli oceani e la sua pace più profonda di tutti gli abissi. (...) Chi possiede Dio, possiede tutte le cose in lui: gli arcangeli come i granellini di polvere, i secoli passati come i secoli futuri.

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L'equilibrio dell'anima che ha veramente trovato Dio in se stessa e si è inabissata in lui, sfida tutte le potenze create. Essa si trova ormai nel punto ove convergono le linee di forza della Provvidenza. Fino allora quest'anima dipendeva dalle circostanze e dagli avvenimenti; ma adesso sembra che tutte le cose la servano e le obbediscano. “Gli affiderà l'amministrazione di tutti i suoi beni” (Mt 24,47).

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Lo spirito, tutto penetrato dalla luce del Verbo, gode da ora di una grande libertà e si mantiene al di sopra dei giudizi e delle opinioni del mondo; poiché nella chiarezza in cui Dio l'ha stabilito il nulla di queste cose gli appare con un'evidenza che non dà luogo a esitazione. “Il Signore conosce i pensieri dell'uomo: non sono che un soffio” (Sal 93,11). “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Così trasformata, l'anima domina le fluttuazioni dell'egoismo e delle compiacenze interessate: non ha più dispiaceri né consolazioni proprie. Non ha che un fine: la maggior gloria del Padre né altro intento che servirlo con tutte le forze: “Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra” (Sa 72,25).

L'uomo deificato agisce in un segreto profondo, poiché la sua vita è sepolta con Cristo in Dio: “La vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3). È celato agli sguardi umani, ma si sente conosciuto da Dio e sa che Dio si conosce in lui. “Come il Padre conosce me e io conosco il Padre” (Gv 10,15). Lo Spirito gli fa ripetere continuamente: “Abbà, Padre”, e tutta la sua vita è nel riconoscere la divina paternità. Questa parola, pronunciata nel profondo dell'anima, è l'offerta che il Padre gradisce sopra ogni cosa.

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Ecco l'aurora della vita eterna. Questa vita, che l'anima trasformata inizia già sulla terra, è una partecipazione alla vita delle tre Persone. Ma veramente non abbiamo saputo dir niente dell'intimità misteriosa di questa comunicazione della vita divina. Non cercheremo neppure di farlo e non stenderemo una mano temeraria sul velo di cui si circonda la gloria dell'anima santa: “Sopra ogni cosa la gloria del Signore sarà come baldacchino” (Is 4,5).

Voler esprimere con parole senza autorità il carattere assoluto di questa unione eterna che l'amore silenzioso esige, anticipa e possiede già da quaggiù, sarebbe una profanazione. Lasciamo dunque colui che la Chiesa chiama dottore mistico pronunciare le parole che ci lasceranno sulla soglia dell'ultimo segreto: “Solamente in cielo l'anima conoscerà Dio come è conosciuta da lui, e l'amerà come è da lui amata. Allora infatti il suo amore sarà l'amore stesso di Dio.. . l'anima amerà Dio con la volontà e la forza di Dio stesso ... È per lo Spirito Santo che l'anima in cielo sarà resa capace di produrre in Dio la medesima spirazione di amore, che il Padre spira col Figlio ed il Figlio col Padre; la quale spirazione è 1o stesso Spirito Santo. (...) Il Figlio di Dio ci ha ottenuto una tale grazia, dandoci il potere di diventare figli di Dio. Egli stesso lo domandò al Padre: “Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io” (Gv 17,24), vale a dire che essi facciano per partecipazione in noi la stessa opera che io faccio per natura, cioè spirare lo Spirito Santo. (...), (S. Giovanni della Croce, Cantico Spirituale, str. 38-39).

Lo Spirito e la sposa dicono: Vieni! Colui che ode dica: Vieni! Ecco che vengo senza tardare, portando con me la mia ricompensa. “Vieni, Signore Gesù” (cfr. Ap 22,12.17.20).