Home

Letture della preghiera notturna dei certosini

 

 

ATANASIO

295-373

 

Subito dopo la controversia ariana, centrata sul mistero del Verbo incarnato, e certamente non senza  un nesso profondo con quella, scoppia nella cristianità di Egitto la questione sullo Spirito Santo e i suoi rapporti con il Padre e il Figlio. Un gruppo di cristiani, denominati “tropici”, perché interpretavano la Scrittura in modo figurativo (“tropos” vuol dire figura), reputavano che lo Spirito Santo fosse una creatura.

Messo al corrente e interpellato  sulla posizione di questo gruppo da Serapione, vescovo di Thmuis in Egitto, Atanasio gli risponde in quattro lettere. L’errata interpretazione della persona dello Spirito è appunto connessa con l’errore nel comprendere chi sia il Verbo fatto carne in Gesù di Nazaret, poiché di fatto l’uno manifesta l’altro, ed entrambi si manifestano nell’unica  economia di salvezza (150152).

Benché addolorato da questo nuovo errore, Atanasio non fu colto alla sprovvista per  comporre una confutazione.

Gli bastava prolungare la relazione di consostanzialità  Padre-Figlio in quella Figlio-Spirito Santo, mostandone la perfetta identità  con la prima (155,156).

Più che formulare un nuovo linguaggio, Atanasio si preoccupa di martellare quei pochi concetti che formano l’ossatura del suo teorema trinitario; con il concetto di “proprietà sostanziale” egli  indica una realtà distinta nell’essere – il Figlio non è il Padre, lo Spirito non è il Figlio (150) – ma identica nella sostanza e inseparabile da essa, ossia consostanziale (154). Le immagini che Atanasio usa per illustrare questo rapporto, fonte- fiume, luce-spendore (151), non lo condizionano per nulla sul fatto della consostanzialità, come invece lo era stato per Tertulliano che giunse fino a ritenere il Figlio “portio” del Padre.

Dalla Scrittura, Atanasio ricava che il rapporto che unisce lo Spirito al Figlio è identico a quello per cui il Figlio è unito al Padre (156). Lo Spirito prende dal Figlio (153), riceve tutto da lui (156), per cui tutto ciò che lo Spirito ha, è del Figlio (156). Egli è immagine del Figlio, rifulge da lui (153), perché egli è nel Figlio, come il Figlio è in lui (156). Il Figlio lo manda, lo dà, ed egli glorifica il Figlio(153).

Quando al rapporto Padre-Spirito Santo, esso è identico a quello Figlio-Padre, e costituisce perciò la prova inoppugnabile della perfetta identità di sostanza che esiste nella Trinità. Infatti è detto Spirito del Padre (150); è dal Padre, da lui procede (156). È unito alla divinità del Padre, non è fuori di essa (ivi).

Sul piano però delle relazioni reciproche, le espressioni indicanti il rapporto Padre-Spirito sono di fatto un modo di esprimersi abbreviato (Vedi però in 153 “Filioque”). Così, lo Spirito è detto “procedere dal Padre” perché è inviato e dato da parte del Verbo, “il quale appunto è dal Padre, come noi professiamo” (153). Parimenti, lo Spirito è “in Dio Padre”, perché è “nel Verbo”, il quale è nel Padre (156); e se è vero che il Padre manda lo Spirito, ciò avviene “nel nome del Figlio” (153), quando questi alitò sui discepoli (156).

È chiaro allora che nella Trinità lo Spirito non può essere di natura o sostanza diversa; egli è unito al Figlio  e al Padre, inseparabile da essi: “ Il Padre compie ogni cosa per mezzo del Verbo nello Spirito Santo, e, in questo modo, è mantenuta intatta l’unità della Trinità santa” (154). Però  i rapporti non sono interscambiabili: il Padre è all’origine da cui derivano il Figlio e lo Spirito. Non in forza di un processo di divenire, ma come proprietà sostanziali della divinità. (150, 154, 155).

Passando dall’orizzonte intradivino, a quello salvifico, Atanasio afferma che lo Spirito non è  una delle cose create, non rientra nella serie degli esseri venuti all’esistenza, ma è tutto dalla parte della divinità (153, 154). Egli infatti è unico (153) e la sua azione è santificatrice come quella del Padre e del Figlio (153), illuminante (151), vivificante (152).

Tuttavia il negare che lo Spirito sia  una creatura è in vista di un’ulteriore affermazione: quella della reale “partecipazione” dell’uomo alla vita divina, grazie al dono dello Spirito. “Il Padre è luce e il Figlio è il suo splendore, e nello Spirito noi siamo illuminati. Se il Padre è la fonte e il Figlio è chiamato fiume, noi beviamo lo Spirito” (151).

"Ricevendo lo Spirito di sapienza, abbiamo il Figlio", il quale ci dona lo Spirito, per cui "Dio stesso è in noi" (152). Unica è quindi l'operazione, la grazia, la santificazione che, partendo dal Padre, per mezzo del Figlio, si compie nello Spirito (155).

L'argomento soteriologico della "divinizzazione" dell'uomo ha così una parte imprescindibile nella teologia di Atanasio. La sua speculazione sulla Trinità non è astratta, ma radicata nell'autorivelazione salvifica di Dio stesso. Il fine di questa rivelazione non è semplicemente quello di porre l'uomo di fronte a Dio in atteggiamento di rettitudine morale, e di adorazione, bensì quello di farlo entrare nella stessa vita trinitaria.

 

Send this page to a friend -
 
Manda questa pagina ad un amico