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Letture della preghiera notturna dei certosini

 

 

GUGLIELMO Di SAINT‑THIERRY

1075/1080 - 1148

 

Lettera d'oro è stata chiamata, per il suo prezioso messaggio, la lunga epistola che Guglielmo inviò tra il 1143 e il 1145 ai monaci della certosa di Mont‑Dieu. L'auto­re espone l'itinerario spirituale verso Dio. Tuttavia, più che un manuale di ascetica, la Lettera d'oro è un saggio dell'esperienza di Dio, dove il linguaggio teologico di Gu­glielmo lascia intravedere il suo personale cammino di fede: un cammino che va dall'obbedienza all'umiltà, tramite quel silenzio del cuore che e la condizione indispensabile perché nel credente nasca e fiorisca l'amore.

In realtà, la Lettera è una storia: la sua stessa struttu­ra, che descrive i tre momenti della vita dell'uomo in Dio (l'uomo animale, razionale, spirituale), implica un movimen­to, una storia appunto, il cui presupposto è la fiducia che l'uomo possa essere perfetto, possa trasformarsi, per la grazia dello Spirito, in Dio. Prima di accingersi a descrivere l'itinerario della perfezione, Guglielmo vuole anzitutto determinarne il "luogo": la cella del solitario, ove è possibile attingere l'esperienza diretta di Dio, "per godere di Dio in sé e di sé in Dio" (192); la gioia del vero solitario è sì divina, ma anche umana. Già in questi primi passi con estrema semplicità ma anche con estrema tensione, Gu­glielmo pone il problema di Dio non come una conoscenza intellettuale o un'appartenenza giuridica, ma come esperien­za amorosa (203,fine).

Va notata la ricchezza straordinaria con cui il Nostro rielabora i temi tradizionali. Nella sola lettura 202 ritroviamo l'idea d'intravedere Dio di sfuggita, cara a Gregorio Magno, e il tema della somiglianza/dissomiglianza e purez­za/impurità, tipici di un Agostino o di un Bernardo. Se la tradizione monastica ha sempre visto il monastero (o la cella) come l'inizio dell'esperienza paradisiaca, qui (193. 194) il linguaggio della tradizione viene condotto a piena consapevolezza e concentrazione spirituale. Nel tempio le realtà ineffabili, oggetto della fede, sono accessibili soltanto per la mediazione dei sacramenti; in cella Dio si rivela e si comunica direttamente all'anima (194), nel dono dell'amore "umile" e illuminato (204).

L'umiltà infatti (195. 204) ha la prima e l'ultima parola tanto nella vita quanto nella Lettera (per la conclusione cf. 205). Umiltà anzitutto come salto della fede che spinge a un fiducioso affidamento al Padre (199), che però non è ancora conosciuto come tale. Dio infatti, afferma il nostro autore, è insondabile, inafferrabile (203). Non si tratta tanto di rendere a parole un'esperienza soggettiva. quanto di un dato teologico. Dio "crea nel suo operare", per cui è impossibile esprimere in modo esaustivo la "novità" conti­nua dell'incontro con lui (204).

La via della perfezione inizia quando il principiante prende coscienza della sua realtà totale, anima e corpo,

e la offre a Dio. Egli non è pero ancora in grado di cammina­re da solo e deve essere guidato (195). La vita di cella va ben ritmata in ciascuno dei suoi momenti. Le occupazioni non saranno futili, perchè l'otium, ossia l'assenza di lavoro, può essere riempito positivamente o negativamente (196). Il principiante (solo lui?), più che buttarsi in difficili eleva­zioni di spirito, dovrà meditare sulla vita del Gesù storico: proprio dalla sua umanità egli potrà scoprire la divinità del Signore.

Con la descrizione dell'esperienza dell'uomo "spiritua­le", siamo alle pagine più dense e più belle della Lettera. Il rapporto tra pensiero e volontà viene qui visto al suo punto di arrivo che è l'amore: in chi ha l'animo non rivolto alla carne, ma allo spirito, "per la via dell'amore è infuso lo Spirito Santo" (201). Tutta la dottrina mistica di Gugliel­mo è qui condensata. Non è una conoscenza fatta di idee o nozioni che permette all'anima di entrare in contatto diretto con Dio. ma il "senso dell'amore illuminato" (203).

Tuttavia, la "nube di non conoscenza" di cui s'avvolge l'immagine divina non dispensa l'uomo spirituale dalla ricer­ca sempre più intensa al lume della fede e della ragione (204). Ma è lo Spirito a causare tutto il movimento, anche lo stesso desiderio dell'uomo.

La trasformazione, conclude Guglielmo, è sperimentata gia in questa vita. Il peccato, la debolezza della natura, non impediscono che l'uomo possa venir perdonato ed essere spinto da Dio con "l’amore del suo amore" (205) appunto verso l'immedesimazione con lui.

 

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