Home

Letture della preghiera notturna dei certosini

 

 

ESICHIO IL SINAITA

VIII‑X secolo

 

L'autore delle Centurie sulla sobrietà e la virtù è un certo Esichio, non ancora identificato, di cui si trova menzione non prima del XIII sec.; egli sarebbe stato igumeno di un monastero della Madonna del Roveto al Sinai, per cui è detto Esichio Sinaita o di Batos (roveto). Questa indicazione, non verificabile da parte della tradizione manoscritta, è il solo dato biografico che si ha di lui. Siccome egli mostra di conoscere Giovanni Climaco, Massimo il Confessore e Marco l'Asceta, va collocato dopo il VII sec., forse tra l' VIII e il X.

Per Esichio la vita monastica si fonda essenzialmente sull'abisso interiore che portiamo in noi. Si tratta della visione dei fulgori della grazia abissale di Dio, della conoscenza dell'Incomprensibile e della "penetrazione nei misteri divini e segreti" (174).

Tuttavia, per convinto che sia delle ricchezze che abitano nel cuore profondo dell'uomo, Esichio non è un ingenuo idealista. Egli sa che la vita del monaco è una lotta continua, condotta soprattutto contro i pensieri, i "logismoi", questo miscuglio più o meno torbido di impulsi, progetti, desideri, idee. Tra le risorse a disposizione del monaco per uscire vincitore dalla guerra invisibile, c'e la nepsis, la vigilanza del cuore. L'etimo del termine è connesso al verbo nefein (= astenersi dal vino), ed esprime lo stato di sobrietà, in contrapposizione a quello di ebbrezza, reso dal verbo methyein (= sono ubriaco). Esichio è il gran maestro di questa lucida vigilanza, sola capace di purificare il cuore e disporlo a vivere nella quiete del continuo ricordo del Signore (176). Si tratta di un vero metodo spirituale (178), ossia di una attività complessa che sotto il dinamismo della grazia, si vale delle armi tradizionali della lotta interiore: umiltà (179), attenzione (175, 177,178), confutazione o antirrhesis (176, 181). Con questo termine si designa il metodo di respingere i pensieri cattivi con la Parola di Dio. Come Gesù nel deserto respinse satana citando i testi sacri, così gli asceti confutavano le suggestioni diaboliche contrapponendovi la parola ispirata della Scrittura. (Il manuale classico di quest'arte e l'Antirrheticos di Evagrio; cf. Lettura 83, qui sopra).

In definitiva, la lotta interiore ha una connotazione nettamente contemplativa. Alla pseudo‑profondità del male e dei pensieri segreti della passione va opposta la vera profondità dell'anima, ciò che è possibile soltanto se il monaco scende in queste profondità mediante la preghiera: "Allora il lottatore vedrà il nemico battuto o cacciato dall'adorabile nome di Gesù, come polvere dal vento o come fumo che si dissolve insieme con le sue fantasie" (176,fine).

Alle seduzioni dell'avversario che si vale dell'esca della fantasia, il monaco può opporre un'altra seduzione. La parola "glukos, glukeia" (dolcezza) torna spesso sotto la sua penna non per designare dolciastre consolazioni sensibili, ma il fascino profondo che il monaco avverte dentro di sé grazie agli impercettibili presentimenti della luce divina ch'egli riceve in nono. (Cf. 182, dove questo termine torna ben quattro volte).

L'attenzione del cuore può ancorarsi su un punto concreto: la preghiera di Gesù. Per il nostro autore questa invocazione costante del Signore Gesù deve diventare abituale come il respiro ‑ notiamo l'espressione “come il respiro”!  ‑ perché senza Gesù Cristo non si può nulla (175, 177, 178). Anzitutto si tratta di avere in mente e in cuore soltanto Gesù, sostituendo alla molteplicità dei desideri, progetti e fantasie. quello unico del Signore. Di qui il carattere fortemente cristologico della preghiera insegnata dal nostro igumeno. "Veramente beato colui che si è così congiunto nella mente alla preghiera di Gesù e lo invoca senza interruzione nel cuore, come l'aria è unita ai nostri corpi o come la fiamma alla cera" (184).

Per Esichio, dunque, la vita monastica segue la traiettoria di un'intima trasformazione. Non si tratta di compiere una successione di atti virtuosi, ma di avere in sé la fonte di questi atti, una "abitudine", che divenga una seconda natura: "Lo sforzo continuato genera la consuetudine, la consuetudine genera come una naturale frequenza di sobrietà; e questa, nel tempo del combattimento., a poco a poco, genera la contemplazione." (175). Esichio quindi predica la ripetizione degli atti, convinto com'è che la vita monastica è un andare di inizio in inizio, secondo un progresso e una tensione continua e senza fine verso la beatitudine eterna; come non ricordare qui l'epectasi di san Gregorio di Nissa?

In effetti l'insegnamento delle Centurie riprende la tradizione anteriore (Detti dei Padri, Evagrio, Diadoco di Fotica, Marco l'eremita, Giovanni Climaco ... ). Ciò che è nuovo e personale in Esichio, è la scelta dei materiali, la tonalità affettiva soffusa di gioia sommessa, le semplificazioni che egli opera non per il gusto di una schematizzazione teorica, ma in funzione della semplicità spirituale. Si sente che la dottrina è il frutto di un'autentica esperienza ("ciò lo comprenderai facendone la prova con i fatti" 182).

 

Send this page to a friend -
 
Manda questa pagina ad un amico