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Letture della preghiera notturna dei certosini

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  Anno A

 

Tempo Ordinario

 

Terza Domenica 

9

Dal vangelo secondo Matteo.

8,1-13

                               

Entrato Gesù in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: "Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente".

 

Dai Discorsi di sant'Agostino.

Sermones  LXII, 1.3.4.; LXXVII, 12-13.15. PL  38,414-416.488.490.

 

In questo vangelo noi udiamo lodare l'umile fede. Infatti, quando il Signore Gesù promise di recarsi in casa dal centurione per guarirne il servo, quello rispose: Io non son degno che tu entri sotto il mio tetto. Proclamandosi indegno si rese degno che Cristo entrasse non solo nella sua casa, ma soprattutto nel suo cuore. Anzi, non avrebbe detto questo con tanta fede ed umiltà, se non avesse avuto già dentro di sé colui che non osava accogliere in casa. Non sarebbe stata una grande felicità avere il Signore in casa senza averlo nel cuore.

La fede del centurione viene lodata a causa dell'umiltà, poiché disse: Io non son degno che tu entri sotto il mio tetto. E il Signore replica: In verità vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande. Come a dire, in un israelita considerato secondo la carne, poiché questi era già israelita secondo lo spirito.

 

10

 

Il Signore era andato al popolo dell'Israele carnale, cioè ai giudei, per cercare anzitutto le pecore smarrite di quel popolo nel quale e dal quale aveva preso il suo corpo. Eppure dice: In Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande. Noi possiamo valutare la fede degli uomini, da uomini: lui che scrutava l'intimo, lui che nessuno poteva ingannare, rese testimonianza alle disposizioni di quell'uomo; ascoltando le sue parole piene d'umiltà, pronunziò un giudizio di salvezza.

Ma in che cosa il centurione riponeva la sua fiducia? Ascoltiamolo dire: Anchio che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va’, ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Faquesto, ed egli lo fa. Se dunque io, pur essendo sottoposto ad altri capi, ho il potere di comandare, che cosa non potresti fare tu, a cui sono sottomesse tutte le potenze dell'universo?

 

11

 

Considerate soprattutto questa circostanza: il Signore, benché appartenesse al popolo giudaico, annunciò che la Chiesa si sarebbe propagata in tutto il mondo, al quale avrebbe inviato gli apostoli: i pagani, senza averlo veduto, crederebbero in lui, mentre i giudei che lo vedevano, lo metterebbero a morte.

Il Signore, pur non entrando in quella casa - assente col corpo, ma presente con la sua potenza - risanò l'intera famiglia. Così lo stesso Signore visse fisicamente soltanto in mezzo al popolo ebreo; in mezzo alle altre genti non nacque dalla Vergine, non soffrì la passione, non camminò né sopportò le umane necessità, né compì divine meraviglie. Niente di tutto questo in nessun altro popolo; e tuttavia si compì in lui quanto era stato detto: Un popolo che non conoscevo mi ha servito. Ma come, se non lo conobbero? Alludirmi, subito mi obbedivano.

 

12

 

In verità vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande. Ma chi sapeva renderla grande? Appunto la piccolezza, vale a dire l'umiltà. Non ho trovato una fede così grande: essa assomiglia al granello di senapa che è tanto più attivo quanto più è minuscolo. Così il Signore innestava l'olivastro sul vero olivo nel momento stesso in cui dichiarava: In verità vi dico, in Israele non ho trovato una fede così grande.

Notate il senso di quanto segue: "Poiché non ho trovato tra di voi una tale umiltà nella fede, vi dichiaro che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e sederanno a mensa nel regno dei cieli. Essi saranno innestati sull'olivo autentico, le cui radici sono appunto Abramo, Isacco, Giacobbe".

 

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Terza Domenica 

 

 

9

 

Dal vangelo secondo Matteo.                                 

8,1-13

Quando Gesù fu sceso dal monte,

molta folla lo seguiva.

Ed ecco venire un lebbroso e prostrarsi a lui.

                       

 

Dalle Omelie di san Giovanni Crisostomo su questo vangelo.

In Mt.,hom.25,1-3. PG 57,328-331.

 

E' grande la prudenza e la fede di questo lebbroso che si avvicina a Cristo. Non interrompe il suo discorso, né si fa strada tra la folla degli ascoltatori, ma attende il momento opportuno: si accosta quando Cristo discende dal monte. E non lo supplica in modo qualunque, ma con molto fervore; come dice un altro evangelista (Mc 1, 40), si prostra ai suoi piedi, con fede sincera e ben sapendo chi sia Gesù. Infatti non gli dice: "Se tu supplicassi Dio" oppure: "Se lo pregassi", ma: Se vuoi, tu puoi sanarmi. Neppure gli ingiunge: "Signore, guariscimi, ma affida tutto a lui, lo riconosce padrone di guarire e rende testimonianza alla sua competenza.

Il Signore spesso parlava un linguaggio modesto, molto inferiore alla sua gloria; che dice qui per confermare l'opinione di questa folla sbalordita della sua potenza? Lo voglio. Sii sanato. Pur avendo compiuto tanti e così strepitosi miracoli, non risulta che abbia mai usato altrove quest'espressione.

 

10

 

Per rafforzare l'idea che il lebbroso e la folla si son fatti della sua potenza, il Signore proclama: Lo voglio. L'opera segue immediatamente la parola, poiché quanto il Signore dice è sempre efficace. Se invece di parlar così bene, avesse bestemmiato, non sarebbe accaduto nulla.

Ecco che la natura si piega obbediente all'ordine di Gesù, più in fretta di quanto possa esprimerlo l'evangelista. La parola subito è ancora troppo lenta per indicare la rapidità con cui il miracolo si realizza.

L'evangelista aggiunge: Gesù stese la mano e lo toccò. Il particolare merita di essere esaminato. Non bastavano per guarire il malato la parola e la volontà di Gesù? Perché anche il tocco della mano? Suppongo che il Signore volesse soltanto indicare di non essere soggetto alla legge, ma ad essa superiore, e che nulla è impuro per chi è puro.

 

11

 

Il Signore per mostrare che guarisce non da servo ma da padrone, tocca il lebbroso. La sua mano non diventa impura al contatto con la lebbra, ma è il corpo lebbroso a rimanere purificato dal tocco di quella mano. Il Salvatore non è venuto solo per guarire i corpi, ma per condurre le anime a conoscere la sapienza. Altrove egli dice che non è più proibito mangiare senza lavarsi le mani, oppure decreta bellamente che ci si può cibare di qualsiasi cibo; qui, con il suo gesto insegna la priorità della guarigione spirituale sulle purificazioni esterne. In realtà, va temuta molto di più la lebbra interiore del peccato.

Gesù poi ordina al lebbroso di non parlare della sua guarigione. Così ci insegna a non avere vanagloria o millanteria. Egli sapeva bene che il lebbroso guarito non avrebbe taciuto, ma avrebbe parlato a tutti del suo benefattore. Però, da parte sua, Cristo non trascura di far il possibile per evitare che la notizia venga propagata.

 

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Perché - mi direte - il Signore ha ingiunto ad un altro miracolato di proclamare la sua guarigione? Non vi è contraddizione o incoerenza da parte del Salvatore. Nel secondo caso, egli vuole insegnare la riconoscenza, perché non ordina di esaltare la sua persona ma di dar gloria al Padre.

Nel primo esempio, Gesù ci insegna a fuggire la superbia e la vanagloria, mentre nel caso dell'uomo liberato dai demoni, desidera che siamo riconoscenti e pronti a rendere grazie dei benefici ricevuti (Cf Lc 8,39).

Il nostro rendimento di grazie non aggiunge nulla a Dio, ma rende noi più  intimi a lui. Il ricordo dei benefici, che gli altri ci hanno fatto, intenerisce e accresce in noi l'affetto per loro. Ma se continueremo a far memoria delle grazie di cui Dio ci ha colmati, con quale premura non osserveremo i cuoi comandamenti!

Paolo ci esorta: Siate riconoscenti!. (Col 3,15). Il ricordo continuo dei benefici ricevuti insieme con l'incessante ringraziamento è la migliore garanzia per ricevere altri benefici da Dio.

 

 

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