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Letture della preghiera notturna dei certosini

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Anno A

Quarta Domenica di Pasqua

 

 

9

 

Dal vangelo secondo Giovanni.

10,11-18

"Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge".

 

Omelia di san Gregorio Magno su questo vangelo.

Homilia XIV,3-6 in Evangelium.  PL 76, 1129-1130.

 

     Il motivo per cui il mercenario fugge sta proprio nel fatto di essere prezzolato. Non può affrontare il pericolo con il gregge chi ne assume la custodia non per amore ma solo per desiderio di lucro. Impegnato a ricevere onori, tutto lieto per i vantaggi terreni, teme di affrontare il pericolo nel quale potrebbe perdere ciò che gli sta davvero a cuore.

     Il nostro Redentore ha però smascherato le colpe del falso pastore e ha proposto il modello a cui ci si deve conformare, dicendo: Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore, cioè le amo, e le mie pecore conoscono me. Come per dire: c'è vicendevole amore e mi seguono. Chi infatti non ama la verità, non l'ha ancora minimamente conosciuta.

     Avete udito, fratelli, i pericoli che incombono su di noi; riflettete ora su quelli che vi riguardano sulla scorta della Parola divina. Chiedetevi se siete le pecore del buon pastore, se lo conoscete, se vi è nota la luce della verità. Non parlo della conoscenza che proviene dalla fede, ma di quella basata sull'amore e che si attua non tanto nel fatto di credere quanto attraverso le opere. Infatti lo stesso evangelista Giovanni, di cui stiamo meditando la parola, afferma: Chi dice di conoscere Dio e non ne osserva i suoi comandamenti, è bugiardo.

 

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     Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e offro la vita per le pecore. Il che significa: Conosco il Padre e sono conosciuto da lui, appunto perché do la vita per il mio gregge. Dimostro la grandezza del mio amore per il Padre attraverso la carità che mi spinge a morire per le pecore.

     Ma Cristo è venuto per portare a salvezza non solo i giudei ma anche i pagani, per cui aggiunge: E ho altre pecore che non sono di questo ovile: anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Parlando delle altre pecore da ricondurre al gregge, il Signore vedeva compiersi la redenzione per noi, che proveniamo dal mondo pagano. Potete constatare, fratelli, che ciò avviene ogni giorno e anche oggi si verifica con la riconciliazione dei pagani. Il Signore ha costituito un solo ovile come da due greggi, perché ha congiunto il popolo giudaico e quello pagano nella fede verso di lui, come attesta Paolo con queste parole:  Egli è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo. Eleggendo per la vita eterna i semplici dai due popoli, li conduce come pecore al proprio ovile.

     Di questo gregge dice ancora il Signore: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna. Delle pecore poco prima Gesù aveva detto: Se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo.  Entrerà alla fede e passerà da questa alla visione, cioè dal credere al contemplare e troverà i cibi del banchetto eterno.

     Le pecore del Signore troveranno i pascoli, perché chi lo segue in semplicità di cuore trova un alimento di eterna freschezza. Cosa sono i pascoli di queste pecore se non gli intimi gaudi della bellezza paradisiaca? Sì, pascolo degli eletti è la presenza del volto di Dio, e, mentre se ne compie l'incessante contemplazione, l'anima si nutre senza sosta del cibo della vita.

     In questi pascoli gioiscono di sazietà eterna quanti si sono sottratti ai lacci dei piaceri terreni. Ivi si incontrano i cori osannanti degli angeli; la compagnia dei cittadini del cielo; la dolce, festosa presenza di chi torna dall'ardua fatica di questo pellegrinaggio; le schiere dei profeti illuminati sul futuro; il gruppo degli apostoli costituiti giudici; l'esercito vittorioso di martiri senza numero, in sovrumana letizia dopo le persecuzioni subite sulla terra; i testimoni della fede, la cui pazienza è ricompensata; i fedeli, che le voluttà del secolo non riuscirono a smuovere dalla fermezza dei propositi; le donne sante, vittoriose sul mondo e sulla fragilità della loro natura; i fanciulli, vissuti sulla terra con virtù ben superiori alle forze della loro età; i vecchi, resi deboli sulla terra dal peso degli anni ma sempre saldi nel compiere il bene.

 

12

 

     La suprema letizia dell'adunanza festosa di tanti eletti sia per noi un invito. Quando la gente celebra una fiera, o accorre per la solenne dedicazione di una chiesa, ci affrettiamo tutti per trovarci insieme; ognuno fa in modo di essere presente, rammaricandosi come di un grave danno se non riesce ad assistere alle gioiose espressioni della comune letizia.

     Ecco allora celebrata nelle sedi celesti la gioia degli eletti e il vicendevole gaudio per esservi tutti riuniti: E noi, tiepidi nell'amore verso le realtà eterne, non sentiamo l'ardore del desiderio e ci diamo ben poco da fare per essere chiamati a tale tripudio: ci troviamo privi di quella gioia, eppure riusciamo a sentirci lieti.          Infervoriamo perciò il nostro animo, o fratelli, rinsaldiamo la fede in ciò in cui abbiamo creduto, e si infiammi in noi l'anelito verso le realtà celesti: questo amore è già come essere in cammino. Nessuna avversità ci allontani dalla gioia della celebrazione interiore, perché se uno desidera giungere alla mèta agognata non vi sarà asprezza di cammino tale da fargli cambiare proposito.

      Nessuna prosperità ci seduca col suo fascino, perché è ben stolto il viandante che ferma lo sguardo ai prati ameni lungo il viaggio, e non può così raggiungere la mèta fissata. Lo spirito aneli, dunque, in pienezza di desiderio, alla patria eterna; non abbia bramosie terrene, visto che tutto dovrà ben presto essere lasciato.

     Se siamo davvero nel gregge del Pastore celeste e riusciamo a non farci incatenare dalla seduzione di ciò che incontriamo per via, avremo la gioia suprema, giunti ai pascoli eterni.


 

 

 

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Anno C

 

Quarta Domenica di Pasqua

 

 

9

 

 

Dal vangelo secondo Giovanni.

10,11-18

Gesù diceva ai Giudei:

"Io sono il buon pastore".

 

Allocuzione di papa Pio XII.

Alle alunne dell'Istituto del Buon Pastore, 8 aprile 1945. Discorsi e Radiomessaggi di S.S.Pio XII,Vita e Pensiero,Milano,1946,t.7,21-25.

 

Voi ben sapete con quale dolce compiacenza il divino Maestro amava presentarsi nella fìgura del buon Pastore e con quale profondo accento egli manifestava questo suo sentimento: Io sono il buon pastore - egli diceva -, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me. E ancora: Le pecore ascoltano la voce del pastore e lo seguono. E, ciò che è anche più commovente: Il buon pastore offre la vita per le pecore. (Cf Gv 10,14.4.11) Molte volte voi avete letto e udito queste parole e avete appreso a gustarne l'incanto. Ma bisogna che esse siano per voi quasi faro di fede e di amore che vi guidi in ogni passo della vostra vita.

Che altro dunque potremmo raccomandarvi e inculcarvi se non di corrispondere a così amabili inviti del buon Pastore? Ascoltando la sua voce per meglio conoscerlo e amarlo; abituandovi a seguirlo docilmente; mettendo in lui tutta la vostra fiducia.

 

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Adoperatevi a meglio conoscere e amare il Salvatore. Voi, è vero, non udite sensibilmente la sua voce divina come i fanciulli che lo avvicinavano sulla terra. Ma egli vi parla con arcana tenerezza nell'intimo del vostro cuore; vi parla anche per bocca di quelli che tengono per voi il suo luogo quaggiù.

La voce del Maestro e pastore delle anime vostre non è forse dolce, quando esclama: Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero? (Mt 11,28.30) Questa voce non è benigna quando dice alla peccatrice entrata nella casa di Simone: Ti sono perdonati i tuoi peccati. La tua fede ti ha salvata; va' in pace? (Lc 7,48.50)

 

Questa voce non è amabile quando annunzia a Marta: Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno? (Gv 11,25‑26)

Ecco ciò che il buon Pastore vuol donarvi: il perdono delle colpe, il suo amore, la pace del cuore, la risurrezione e la vita eterna.

 

11

 

Dolce è la voce del buon Pastore, ma di una dolcezza ben diversa dalle altre; non è quella dolcezza che lusinga, che inebria e che turba., quella dolcezza che promette i piaceri dell'orgoglio e dei sensi, ma non lascia nello spirito e nel cuore che tenebre e amarezza. La voce del buon Pastore è grave; mostra il dovere, austero talvolta, sano sempre; insegna a portare la croce, ma diffonde intorno a sé un'aura di pace calma e serena. Essa ammonisce e corregge, ma senza asprezza, con una bontà infinita; riprende ed emenda, ma per amore e per il bene, il vero bene, precorritore della vera felicità. Non riconoscete voi forse, sulle labbra dei superiori, un'eco di questa voce del buon Pastore, che vi parla, vi insegna ad essere buoni, ad amare e desiderare ciò che può farvi realmente felici? Non la riconoscete teneramente materna persino nei rimproveri, che deve talvolta rivolgervi?

 

12

 

La voce del buon Pastore è la voce di colui che dà la vita per le sue pecore, la voce di colui che va in cerca della pecora smarrita e, ritrovatala, se la pone sulle spalle e la riconduce al pascolo o all'ovile.

Non avete voi stessi sentito questo amore del divino Pastore dopo una buona confessione, nel fervore della santa comunione, nelle ore felici, in cui un'intima soavità dello spirito e l'ardore dei vostri salutari propositi vi danno in qualche modo la consapevolezza di essere nella sua grazia?

Le vostre debolezze non vi intimidiscano; esse sono per il cuore di Gesù, fornace ardente di carità, un'occasione dì far maggiormente risplendere la sua bontà e la sua potenza. Non dimenticate le parole di lui: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. (Gv 10.27-28)

Quale promessa più bella di questa? Quale assicurazione più solenne e degna di fiducia?

 

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