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Letture della preghiera notturna dei certosini

[Anno A] [Anno C]

 

Anno A

 

TEMP0 DI AVVENTO

 

TERZA SETTIMANA

 

In mezzo a voi sta Cristo

 

L'esempio del Battista e il suo insegnamento ci propon­gono la quiete della solitudine per raggiungere l'unione con il Verbo (14), la cui incarnazione fu preparata e preannunziata durante lunghi secoli, da patriarchi e profeti (15).

Da parte nostra., il riconoscimento del nostro nulla ci dispone a vedere il Signore. perché egli si china verso di noi (16. 17).

 

 

13

 

Lunedì

 

Dal "Commento a san Giovanni" di Ruperto di Deutz.

In Evangelium Moannis Commentarlorum, 1 iber primus.PL 169,232‑235.

 

Al gruppetto di sacerdoti e di leviti Giovanni Battista afferma di sé ciò che quelli non avrebbero mai immaginato: Io non sono il Messia, ma colui che Isaia interiormente udì gridare che si preparasse una strada per il Signore, giacché il Signore è lì, lui, il Messia. Vi grido dunque: Prepa­rate la via al Signore. i Poiché io sono così grande che i pro feti parlarono di me, poiché essi poterono scambiarmi per il Messia che attendete, bisognerà credermi quando vi additerò il Messia. La voce ha per scopo di far udire la parola. Quanto a me, sono nato per far riconoscere il Messia presente, la Parola di Dio incarnata.

Che griderò? Preparate la via al Signore, perché il Si­gnore è sempre identico a se stesso, ma volendosi confor­mare alle variazioni della nostra vita mutevole, si impegna in un'opera grandiosa. Adesso, è per strada: èccolo che esce come sposo dalla stanza nuziale, esulta come prode che percorre la via. Donde viene? Dove si dirige? Viene dall'alto del cielo e torna nell'alto del cielo. Non rizzate ostaco­li sulla sua via, non contrastate e non opponete resistenza al suo passare".

  

14

 

Martedì

 

Dal Commento al Cantico dei Cantici di Gilberto di Holland.

In Cantica, sermo 1,2.7. PL 184,13‑14.16.

 

La sposa che vagheggia non soltanto di toccare Gesù, ma di stringere, di afferrare. il Verbo della vita, sceglie la solitudine e il secreto della notte. Occupazione eccellente quella di cercare o tenere Gesù, ma per dedicarvisi occorro­no tempo e luogo propizi. Ora, che vi è di più propizio per l'esercizio dell'amore del segreto e della notte? Se non si ha un cuore tranquillo e nella pace, non si può cercare, né pretendere di trovare il godimento della Sapienza; verso di lei non può dirigersi uno sguardo inquieto.

La pace passa in primo luogo e sopra tutto il resto come preparazione efficace per la contemplazione. Come potrebbe l'occhio offuscato dalla collera o agitato dalle preoccupazioni vedere quella luce inaccessibile che soltanto gli spiriti calmi scorgono? La sua dimora sta nella pace. Bisognerà perciò che tu cominci col conquistare quel luogo, per potere cogliere al volo il Diletto dell'anima tua o cercarlo se egli è scomparso.

È un fatto che tutti possono notare: quando ritroviamo la quiete, torniamo a sentire più forte la presa dell'amore divino. Invece l'abitudine degli assilli mondani rende il cuore quasi insensibile e fascia la mente con una specie di callosità.

Per slanciarsi in cerca del Signore ci vuole la carità che si effonde da un cuore puro e da una buona coscienza. Grande è la forza dell'amore!

 

15

 

Mercoledì

 

Dalla Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea.

Nistoire Ecclésiastique,I,2. SC 31,11‑12.

 

Tutti gli uomini erano divenuti vittime del crescente torpore della malizia; come in preda a una terribile ubriaca­tura, la maggior parte dell'umanità vagava fra tenebre e ombre.

La Sapienza, allora, figlia primogenita e primogenita opera di Dio, il Verbo in persona, lui che a tutto preesiste, in uno slancio d'amore per gli uomini si manifestò a quegli esseri inferiori. Lo fece per mezzo di apparizioni angeliche oppure mostrandosi egli stesso come potenza salvifica di Dio. Nei tempi antichi apparve infatti a uno o all'altro dei fedeli di Dio, e si celò dietro sembianze umane, poiché essi non avrebbero potuto vederlo in altro modo.

Grazie a questi amici di Dio, furono gettati nella massa dell'umanità i semi della religione, di cui il popolo disceso dagli antichi Ebrei divenne il devoto depositario. Ma la moltitudine del popolo eletto degenerò dai costumi dei padri. E Iddio, per il tramite del profeta Mosè, gli inviò figure e simboli di un sabato misterioso, oltre alla circonci­sione e ad altri precetti spirituali; sottrasse loro però la chiara interpretazione di quei misteri.

La legislazione promulgata agli Ebrei si diffuse presso tutti gli uomini come profumo di soave odore; la maggior parte dei popoli, grazie all'opera di legislatori e di sapienti, corresse la propria indole selvaggia e feroce, rendendo meno aspri i suoi costumi. Ne scaturì una pace profonda, un'amicizia ricca di scambievoli rapporti.

Tutta l'umanità, tutte le genti della terra furono predi­sposte per la conoscenza del Padre. Ed ecco il maestro delle virtù, il ministro del Padre in ogni bene, il Verbo divino e celeste, apparve, agli inizi dell'impero di Roma, tramite un uomo in nulla fisicamente diverso da noi.

Egli compì e sofferse tutto ciò che i profeti avevano vaticinato. Questi infatti avevano predetto che sarebbe venuto sulla terra un uomo‑Dio, il quale avrebbe compiuto opere straordinarie e insegnato a tutte le genti il vero culto da rendere al Padre.

 

 

16

 

Giovedì

 

Dai Discorsi di Giovanni Taulero.

Semons de Tauler,trad.Hugueny,Théry,Corin,"La vie spírituelle",

Pa­rigi, 1935, t.III, 271.273.279.

 

 

I messaggeri domandarono a Giovanni chi egli fosse.

Che rispose il principe celeste, la stella del mattino, l'arcangelo? Il Battista rispose: Non sono. Egli confessò e non negò la sua vera identità.

"Non sono". Proprio il contrario degli uomini, i quali vor­rebbero: rinnegare il proprio nome. In generale, tutti i nostri sforzi tendono a questo: come sconfessare e nascondere la nostra povera identità. Solitamente tutti vogliamo ad ogni co­sto essere o apparire qualcosa, sia nelle doti spirituali, sia in quelle della natura.

Figlioli cari, colui che giungesse anche solo a toccare il fondo nel riconoscimento del proprio nulla, avrebbe im­boccato la via più amabile, più diretta e più breve, anzi la più rapida e sicura verso la verità più alta e profonda che in terra possa essere raggiunta.

Per tale lavoro nessuno è troppo vecchio o troppo debole, oppure manca d'esperienza; nessuno è troppo giova­ne, troppo povero o troppo ricco.

Tale via consiste in questo: “Io non sono". C'è proprio poca gente che voglia seguire tale cammino d'umiltà, perché vogliamo sempre essere qualcosa. Siamo e vogliamo e vor­remmo sempre "essere". Ma è un ostacolo che imbriglia l'uomo e sono pochissimi quelli che si decidono ad abbando­narsi sino in fondo.

Il chicco di grano deve per forza morire se vuole porta­re frutto. E ciò non avviene affatto mediante desideri, voti e preghiere; va invece conquistato con alta lotta. Quel che non costa nulla non ha valore. Abbandonarsi per amore di Dio significa abbandonarsi a Dio. Ci sia concesso di tocca­re il fondo di un tale annientamento per naufragare nell'ès­sere stesso di Dio.

 

17

 

Venerdì

 

Dai Discorsi di Guerrico d’Igny.

In Natali Apost.Petri & Pauli.Sermo 111,3‑4. SC 202,402.404.

 

Vedere il volto di colui che è la verità stessa o vedere la verità del suo volto, non sarà mai possibile ai nostri occhi mortali. Ciò non appartiene neppure al tempo di questa vita, ma accadrà soltanto quando la morte avrà dissolto il corpo o l'immortalità l'avrà liberato. Vedremo la verità in se stessa quando l'eternità avrà assorbito il tempo e la divinità immortale avrà innalzato fino a sé e in sé stabilito lo spirito umano, ora appesantito dal corpo è soggetto al volgere del tempo.

Paolo distingueva in modo netto la fase iniziale operata dalla grazia e la perfezione che sarà l'apporto della gloria, quando diceva: Ora vediamo come in uno specchio, in manie­ra confusa, ma allora vedremo a faccia a faccia.

Perché ci sia concessa questa visione confusa e indiret­ta non basta che la superficie del nostro specchio sia sgom­bra da ogni immagine e da ogni ombra delle realtà corporee; occorre soprattutto che l'Essere altissimo, il quale abita in una luce inaccessibile, voglia chinarsi verso di noi e a noi manifestarsi, magari solo con l'ombra della sua imma­gine. Qualunque sia infatti il nostro sforzo per elevarci dal visibile verso l'invisibile, la nostra piccolezza non rag­giungerà nulla se Iddio, l'Eccelso, non si abbassa. A dir il vero, quello che è detto ombra in confronto della verità chiaramente manifesta, ha di solito una gloria e uno splendo­re ineffabile, almeno in chi ha lo specchio interiore perfet­tamente traslucido.

 

 

Letture della preghiera notturna dei certosini

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Anno C

 

TEMP0 DI AVVENTO

 

TERZA SETTIMANA

 

 

La persona di san Giovanni Battista (13) ci indica che per raggiungere Gesù, occorre ritirarsi nel segreto (14). Ma è Dio, proprio lui, che mette nel nostro cuore il desiderio inesausto di sé (15). Basta che abbandoniamo il nostro io egoistico (16) e vedremo il Signore, perché egli si china verso di noi (17).

 

13

 

Lunedì

 

Dal "Commento a san Giovanni" di Ruperto di Deutz.

Lib I. PL 169,232-235.

 

Al gruppetto di sacerdoti e di leviti Giovanni afferma di sé stesso quello che essi non avrebbero potuto immaginare: Io non sono il Messia, ma sono colui che Isaia, interiormente, udì gridare perché si preparasse una strada per il Signore, giacché il Signore é lì, lui, il Messia. Preparate una strada per il Signore. Poiché io sono così grande, continua il Battezzatore, che i profeti parlarono di me, poiché poterono scambiarmi per il Messia che attendete, bisognerà credermi quando vi additerò il Messia. La voce ha per scopo di far udire la parola. Quanto a me, sono nato per far riconoscere il Messia presente, la Parola di Dio incarnata. Che griderò? Preparate la via del Signore, perché il Signore è sempre identico a sé stesso, ma volendosi conformare alle variazioni della nostra vita mutevole, si impegna in un'opera grandiosa. Adesso, è per strada; eccolo che esce come sposo dalla stanza nuziale, esulta come prode che percorre la Via. (Sal 18,6). Donde viene? Dove si dirige? Viene dall'alto del cielo e torna nell'alto del cielo. Non rizzate ostacoli su questa via, non resistete, non opponete resistenza al suo passare.

 

14

 

Martedì

 

Dal “Commento al Cantico dei Cantici” di Gilberto d'Hoiland.

1,2.7. PL 184,13-14.16.

 

La sposa che vagheggia non soltanto di toccare Gesù, ma di stringere, di afferrare il Verbo della vita, sceglie la solitudine e il segreto della notte. Occupazione eccellente quella di cercare o tenere Gesù, ma per dedicarvisi occorrono tempo e luogo propizi. Ora, che vi è di più propizio per l'esercizio dell'amore del segreto e della notte? Se non si ha un cuore cheto, riposato, non si può cercare, né pretendere di trovare il godimento della Sapienza; verso di lei può dirigersi soltanto lo sguardo che è tranquillo.

La pace passa perciò in primo luogo e sopra tutto il resto come preparazione efficace al contemplare. Come potrebbe l'occhio offuscato dalla collera o agitato dalle preoccupazioni, vedere quella Luce inaccessibile che soltanto scorgono gli spiriti calmi? La sua dimora sta nella pace; perciò bisognerà che tu cominci col conquistare quel luogo, per poter cogliere al volo il Diletto dell'anima tua o cercarlo se egli è scomparso.

 E' un fatto che tutti possono notare: quando ritroviamo la quiete, torniamo a sentire più forte la presa dell'amore divino. Invece l'abitudine degli assilli mondani ci rende il cuore quasi insensibile e fascia la mente con una specie di callosità. La preoccupazione rende l'anima tutta contorta, la quiete la distende. L'amore che viene da un cuore puro e da una buona coscienza è appunto quella carità che cerca il Signore. Grande è la forza dell'amore!

 

 

15

 

Mercoledì

 

Da “L'ornamento delle nozze spirituali” di Giovanni Ruusbroeck.

2,53. Oeuvres, Paris, 1920, T.III,156-157.

 

L'anima umana è capace per Dio di una insaziabile fame. Questa fame deriva dall'amore avido, dall'amore assorbente, dall'aspirazione dello spirito creato verso il bene increato. 

Quando lo spirito è assillato dal desiderio, quando ha ricevuto da Dio un invito, che è un ordine, bisogna assolutamente che raggiunga colui che ama. Di qui insaziabile avidità, la quale non può mai né abbracciare né possedere. Quelli che vivono così sono i più poveri fra gli uomini; essi mangiano e bevono, tuttavia non possono né sfamarsi né dissetarsi. Sono famelici sempre. Il recipiente creato non può contenere l'increato. Il desiderio è ardente, eterno; ma Dio è più alto di lui e le braccia levate dal desiderio non raggiungono mai quella adorata pienezza.

 Dio allora fa dono all'anima di una tavola ben imbandita, con rarità conosciute soltanto da chi le gusta. Ma un piatto vi manca ogni giorno, ed è quello che dovrebbe contenere la gioia che rapisce. Per questo cresce d'ora in ora la fame. Sotto il contatto divino, torrenti di delizie scorrono nell'anima e il gusto spirituale assapora ciò che lo spirito non può provare. Tuttavia, poiché quelle gioie sono provate nell'ambito della creatura, nelle regioni inferiori a Dio, la fame va sempre crescendo. Tutti quei rapimenti non fanno che eccitarla. Quando Dio donasse tutto all'anima, tutto tranne sé stesso, non potrebbe saziarla.

La mano di Dio ha formato questo desiderio. Più il contatto è stato grande, più il desiderio è terribile. Tale è la vita dell'amore nella sua azione trascendente, che supera la ragione e l'intelletto.

 

16

 

Giovedi

 

Dai “Discorsi”' di Giovanni Taulero.

Ediz."La vie spiritue11e",T.III,pp.271ss.

I messaggeri domandarono a Giovanni chi egli fosse. Cosa rispose il principe celeste, la stella del mattino, l'arcangelo? Il Battista rispose: "Non sono". Confessò e non negò la sua vera identità. "Non sono”. Proprio il contrario degli uomini che vorrebbero tutti rinnegare il proprio nome. In genere tutti i nostri sforzi tendono a questo: come sconfessare e nascondere la nostra povera identità? Di solito tutti vogliamo ad ogni costo essere o apparire qualcosa, sia nelle doti spirituali, sia in quelle della natura. Figlioli cari, colui che giungesse anche solo a toccare il fondo nel riconoscimento del proprio nulla, costui sarebbe arrivato ad imboccare la via più amabile, più diretta e più breve, anzi la più rapida e sicura verso la verità più alta e profonda che in terra possa essere raggiunta. Per questo lavoro nessuno è troppo vecchio o troppo debole, o manca di esperienza, oppure è troppo giovane o povero o troppo ricco. Tale via consiste in questo: Io non sono. C'è proprio poca gente che voglia seguire tale cammino d'umiltà, perché noi vogliamo sempre essere qualcosa. Siamo e vogliamo e vorremo sempre "essere". Ma è un ostacolo che imbriglia di solito l'uomo, perché ce ne sono pochissimi che si decidano ad abbandonarsi sino in fondo. Il chicco di grano deve per forza morire se vuole portare frutto. E ciò non avviene affatto mediante desideri, voti e preghiere; va invece conquistato con alta lotta; quel che non costa nulla neppure vale qualcosa. Abbandonarsi per amore per Dio significa abbandonarsi a Dio. Ci sia dato di toccare il fondo di un tale annientamento per immergerci così nell'essere divino.

 

17

 

Venerdì

 

Dai "Discorsi" di Guerrico d'Igny.

Serm.29/VI S Ch 202,404-405.

 

Vedere il volto della Verità stessa o la verità del suo volto, non sarà mai possibile al nostro corpo mortale, e neppure ciò appartiene al tempo della vita presente; sarà cosa che accadrà soltanto quando la morte avrà dissolto il corpo o l'immortalità l'avrà liberato, quando l'eternità avrà assorbito il tempo e la Divinità immortale avrà innalzato fino a sé e stabilito in sé lo spirito umano ora appesantito dal corpo e soggetto al volgere del tempo.

Paolo distingueva in modo netto la fase iniziale operata dalla grazia e la perfezione che sarà l'apporto della gloria, quando diceva: Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo a faccia a faccia. (1 Cor 13,12).

Perché poi ci sia concessa questa visione confusa e indiretta, non basta che la superficie del nostro specchio sia sgombra da ogni immagine e da ogni spettro delle realtà corporee; occorre soprattutto che l'Essere altissimo il quale abita una luce inaccessibile, voglia chinarsi verso di noi e manifestarsi a noi, magari solo con l'ombra della sua immagine. Qualunque sia infatti il nostro sforzo per elevarci dal visibile verso l'invisibile, la nostra bassezza non raggiungerà nulla, se Iddio eccelso non si abbassa.

A dir il vero, quello che è detto ombra in confronto della verità chiaramente manifesta, di solito ha una gloria e uno splendore ineffabile, almeno in quelli il cui specchio interiore è perfettamente traslucido.

 

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