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Letture della preghiera notturna dei certosini

[Anno A] [Anno C]

Anno A

 

T E M P O  D I  P A S Q U A

Settima Settimana

 

 

 

L'attesa dello Spirito Santo

 

La fede ci fa sperare e vivere la realtà dello Spirito (145), magari anche sensibilmente (147); a sua volta, lo Spirito Santo ci dona l'intelligenza della fede (146). Il credente, impegnato in un lavoro perseverante per vincere l'egoismo, si apre al dono settenario (148) e all'azione trasformante dello Spirito (144. 148). Così, a poco a poco, la vita spirituale diventa una festa mai interrotta (149).

 

 

 

144

 

Lunedì

 

DaIle Catechesi di san Cirillo di Gerusalemme.

Catechesis XVI 16.20, De Spiritu Sancto. PG 33,940‑941.948.

 

L’azione dello Spirito Santo è tutta diretta al bene e alla salvezza. Mite e lieve è la sua venuta, fragrante e soave la sua presenza, leggerissimo il suo giogo. Il suo arrivo è preceduto dai raggi splendenti della luce e della scienza. Egli giunge con la tenerezza di un fratello e d'un protettore. Viene infatti a salvare, a sanare, a insegnare, a esortare, a rafforzare, consolare e illuminare la mente: anzitutto in colui che lo riceve e poi, tramite lui, anche negli altri. L'occhio che era al buio, quando riceve la luce del sole, si trova d'un tratto illuminato e vede chiaramente ciò che prima non vedeva. In modo analogo, colui che è stato giudicato come degno del dono dello Spirito Santo, viene illuminato interiormente; elevato ad una conoscenza sovrumana, vede ciò che prima ignorava. Sebbene il suo corpo rimanga sulla terra, l'anima contempla i cieli come in uno specchio.

Spesso per la causa di Cristo un uomo subì insulti e fu ingiustamente disonorato. Ormai è imminente il suo martirio e lo circondano da ogni parte i tormenti: fuoco, spade, belve... un precipizio.

Ma lo Spirito Santo gli sussurra: "Spera nel Signore, o uomo; quello che sta avvenendo è cosa da poco; grandi sono i doni preparati per te. Dopo aver sofferto per poco tempo, vivrai per sempre con gli angeli. Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà esser rivelata in noi”.

Lo Spirito Santo mette davanti allo sguardo interiore del credente il regno dei cieli e il paradiso di delizie. Perciò i martiri, benché costretti a tenere gli occhi del corpo rivolti ai giudici, per virtù dello Spirito Santo sono già in paradiso e possono disprezzare le atrocità che sono visibilmente manifeste.

 

 

145

 

Martedì

 

Dal "Metodo e Canone rigoroso" di Callisto e Ignazio Xanthopouli. (Pronunzia: Xantòpuli).

N.16,B. Filocalia,Torino,1987,vol.4°,173‑174.

 

Chiamiamo fede non quella per cui uno crede nella distinzione delle adorabili Persone divine, nella natura propria ed eletta della stessa Divinità e nell'economia mirabile ed eccelsa per cui si è fatta carne e ha assunto la nostra natura umana.

La fede di cui parliamo è quella che sorge nell'anima con la testimonianza della coscienza, in virtù della luce della grazia. Questa fede conforta il cuore libero da dubbi con la certezza della speranza, scevra da ogni presunzione.

Questa fede non si manifesta in ciò che si apprende tramite l'udito; invece manifesta agli occhi spirituali i misteri nascosti nell'anima. Essa mostra pure le segrete ricchezze di Dio, celate agli occhi degli uomini materiali, ma rivelate nello spirito a coloro che mangiano alla tavola di Cristo, praticando i suoi comandamenti. Lo ha affermato lui stesso, quando ha proclamato: Se osserverete i miei comandamenti, il Padre vi darà un altro Consolatore, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere. Egli v’insegnerà ogni cosa.

Finché egli non venga, lui che è la perfezione dei misteri, e finché non siamo degni in modo manifesto della loro rivelazione, la fede celebra tra Dio e i santi la liturgia degli ineffabili misteri; di essi possiamo diventare degni per la grazia di Cristo stesso: qui in forma di caparra, là nella verità stessa, nel Regno, con chi lo ama.

 

 

 

146

 

Mercoledì

 

Dal trattato »Lo specchio della fede” di Guglielmo di Saint-Thierry.

Speculum fidei. PL 180,384.

 

Affrettati a divenire partecipe dello Spirito Santo. Quando lo si invoca, egli si fa presente, né lo si potrebbe invocare se già non fosse presente. Quando, invocato, viene, vi giunge con l'abbondanza delle benedizioni di Dio. È come un fiume in piena che allieta la città di Dio.

E quando sarà venuto, se ti troverà umile e tranquillo, seppure tremante davanti alle parole di Dio, riposerà su di te e ti rivelerà ciò che Dio Padre tiene nascosto ai sapienti e ai prudenti di questo mondo. Incominceranno allora a brillare nel tuo spirito quelle cose che la Sapienza poté dire in terra ai suoi discepoli, ma che essi non potevano capire, finché non fosse venuto lo Spirito di verità, che avrebbe insegnato loro tutta la verità.

Dio è spirito. Com'è necessario che quelli che lo adorano, lo adorino in spirito e verità, così coloro che desiderano sapere e conoscere bisogna che cerchino l'intelligenza della fede e il senso di quella pura e semplice verità solo nello Spi­rito Santo.

Nelle tenebre e nell'ignoranza di questa vita lo Spirito è luce illuminante per i poveri in spirito; egli è la carità che trascina, egli la dolcezza che affascina, egli è la via dell'uomo a Dio, egli l'amore di chi ama, egli la devozione, egli la pietà.

Lo Spirito Santo rivela infatti ai fedeli, in un crescendo di fede, la giustizia di Dio, quando dà grazia su grazia e la fede illuminata dalla fede che nasce dall'ascolto.

 

 

147

 

Giovedì

 

Dalla "Difesa dei santi esicasti" di san Gregorio Pàlamas.

N.34. Paparozzi, La spiritualità dell'Oriente cristiano,Roma, 1981,

149‑151.

 

Il Signore afferma che sono beati quelli che piangono, perché saranno consolati, vale a dire avranno in se stessi

la gioia, frutto dello Spirito. Ma a questa consolazione partecipa anche il corpo in vario modo. Anche il corpo

con l'anima compie la corsa verso i beni eterni. Chi lo negasse, negherebbe anche la vita che nel mondo futuro avrà il corpo.

Se invece, com'è vero, il corpo parteciperà a quei beni misteriosi, anche adesso in proporzione alla propria capacità partecipa alla grazia che Dio dà allo spirito. Per questo diciamo che quei beni si percepiscono con la sensazione, ma aggiungiamo con la sensazione "spirituale", perché sono beni percepiti oltre la sensazione naturale e che riceve anzitutto la mente.

Sono gli occhi del cuore che ricevono la potenza dello Spirito per conoscere i tesori divini. Sentendo parlare di "occhi" che conoscono per esperienza le gioie del cielo, non credere ci si riferisca al pensiero. L'oro, se non te lo procuri sensibilmente, se non lo tieni sensibilmente tra le mani e se non lo vedi sensibilmente, anche se formi diecimila volte nel pensiero l'idea di oro, l'oro non l'hai, non lo vedi e non lo possiedi.

Lo stesso, se pensi diecimila volte ai tesori divini, ma non sperimenti le cose di Dio e non le vedi con gli occhi spirituali superiori al pensiero, non vedi veramente, non hai e non possiedi alcuna delle realtà divine.

Ho detto “occhi spirituali” perché in essi si attua la potenza dello Spirito, attraverso la quale si vedono queste realtà.

 

  

148

 

Venerdì

Dalle Catechesi di Simeone il nuovo Teologo.

Catéchèse XIV. SC 104,210‑214.

 

Nell'umiltà e nell'afflizione l'uomo spirituale, mentre cerca con fervore il soccorso divino, vede chiaramente la grazia dello Spirito Santo che arriva, strappa e fa sparire ad una ad una le passioni fino a che abbia reso la sua anima perfettamente libera. No, non a mezzi termini la visita del Paraclito la rende degna della libertà, ma in modo perfetto e puro. Infatti, oltre alle passioni, lo Spirito sradica dal cuore ogni negligen­za, ogni disgusto, ogni pigrizia e ignoranza. Poi ringiovanisce e rinnova l'uomo, sia nell'anima che nel corpo, al punto che questi non sembra più rivestito di un corpo pesante e corruttibile, ma spirituale e immateriale, pronto per essere rapito tra le nubi.

Né solo fin qui giungono gli effetti dello Spirito, perché la potenza di Dio gli dà occhi nuovi e persino orecchi nuovi. Accade ormai che l'uomo non guarda più in modo umano e sensibile ciò che è sensibile; diventato più che uomo, contempla spiritualmente le realtà sensibili che gli appaiono come immagini delle realtà invisibili.

Ciò che ascolta non sono più voci di uomo, ma il solo Verbo vivente, che gli parla attraverso voci umane. Lui, e lui solo, l'anima accoglie con gli orecchi del corpo, come colui che deliziosamente ama e conosce. Al Verbo soltanto apre la porta e appena sia entrato lo accoglie festosamente.

 

  

149

 

Sabato

 

Dal trattato "Contro Celso" di Origene.

Contra Ce1sum,VIII,22‑23. PG 11,1549‑1552.

 

Il perfetto cristiano, il quale è sempre dedito alle parole, alle opere e ai pensieri del Verbo di Dio, per sua natura Signore, vive sempre nel giorno del Signore, ne celebra sempre la festa.

Chi si prepara incessantemente alla vera vita, si astiene dai piaceri che ingannano i più, e non alimenta i desideri della carne, ma castiga il corpo e lo riduce in schiavitù. Egli celebra incessantemente una vigilia. Quando poi si è capito che Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato e che si deve celebrare la festa cibandosi della carne del Signore, non v'è istante in cui non si celebri la Pasqua, parola che significa passaggio. Il cristiano passa infatti senza posa col pensiero, le parole e le azioni, dalle faccende di questa vita a Dio, affrettandosi verso la città celeste.

Inoltre egli può dire in verità che il Padre ci ha risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli. Così vive di continuo nei giorni di Pentecoste tanto più se,entrando nel cenacolo, come gli apostoli, si dedica alla preghiera per rendersi degno del soffio che viene dal cielo: soffio che annienta col suo vigore la malizia degli uomini e ciò che ne deriva. Quest'uomo e anche degno di partecipare alle lingue di fuoco che scendono da Dio.

In tal modo la vita vissuta sempre in accordo con il Verbo divino non è una parte di festa, ma festa integrale e ininterrotta. Però, se uno fa festa nello spirito, affligge il corpo, che per sua natura e per le sue basse mire non può starsene lieto insieme con lo spirito. E chi fa festa secondo la carne, non può celebrare la festa dello Spirito.

 

 

 

Letture della preghiera notturna dei certosini

[Anno A] [Anno C]

Anno C

 

T E M P O  D I  P A S Q U A

Settima Settimana

 

VANGELO (Gv 14,15-21)

Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui».

 

L’attesa dello Spirito

La fede ci fa sperare e vivere la realtà dello Spirito (143, 145) e, a suo volta, lo Spirito Santo ci dona l’intelligenza della fede. (144)         
Il credente dedito con la preghiera continua a seguire Colui che è penetrato nei cieli (142) e occupato in un lavoro perseverante per vincere l’«io», si apre al dono settenario dello Spirito (146). Così a poco a poco la vita del cristiano diventa una festa ininterrotta (147).

 

142

Lunedì

 

Dai “Capitoli teologici” di san Massimo il Confessore.

11,18-19. FG 2°,141.

Chi prega non deve mai arrestarsi nell’ascesa sublime che lo porta a Dio. Come infatti bisogna fare ascese di potenza in potenza quanto al progresso pratico delle virtù, e ascesa di gloria in gloria quanto al progresso nella contemplazione delle realtà spirituali, e al passaggio dalla lettera della sacra Scrittura allo spirito, così si devono fare anche quelli che si trovano nel luogo dell’orazione: sollevare l’intelletto dalle cose umane, e il sentire dell’anima verso le cose più divine, affinché l’intelletto possa seguire Colui che è penetrato nei cieli, Gesù, il Figlio di Dio. Egli è dovunque e, conforme alla sua economia, tutto penetra per noi, affinché noi, seguendolo, penetriamo attraverso tutto ciò che sta dopo di lui; così giungeremo fino a lui, a condizione però che lo intendiamo non secondo la piccolezza del suo abbassamento - conforme all’economia - ma secondo la grandezza della infinità della sua natura.

E’ bello essere sempre dèditi alla ricerca di Dio come ci è stato ordinato. (cf Sal 104,4). Infatti, anche se cercando lungo la presente vita non possiamo giungere al confine delle profondità di Dio, tuttavia pervenendo anche solo a una piccola parte della sua profondità, noi contempliamo ciò che è più santo delle cose sante e più spirituale delle realtà spirituali.

143

Martedì

 

Dal “Metodo e canone rigoroso” di Callisto e Ignazio Xanthopouli.

N.168 FG,4°,173-17 4.

Chiamiamo fede non quella per cui uno crede nella distinzione delle adorabili e divine Persone, nella natura propria ed eletta della stessa Divinità e nell’economia mirabile, per eccelsa che possa essere, per cui si è fatta uomo e ha assunto la nostra natura.

La fede di cui parliamo è quella che sorge nell’anima con la testimonianza della coscienza, in virtù della luce della grazia; è la luce della fede che conforta il cuore libero da dubbi con la certezza della speranza, scevra da ogni presunzione.

Questa fede non si manifesta in ciò che si apprende tramite l’udito; invece manifesta agli occhi spirituali i misteri nascosti nell’anima. Essa mostra pure la divina ricchezza nascosta, quella che è celata agli occhi dei figli della carne e che si rivela nello spirito a coloro che mangiano alla tavola di Cristo, nella meditazione della legge. Lo ha affermato Lui stesso, quando ha detto: Se custodirete i miei comandamenti, manderò a voi il Paraclito, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere; egli vi insegnerà tutta la verità (cf Gv 14,17. 16,3). Finché egli non venga, lui che è la perfezione dei misteri, e siamo fatti degni in modo manifesto della loro rivelazione, la fede celebra tra Dio e i santi la liturgia degli ineffabili misteri; di essi possiamo essere fatti degni per la grazia di Cristo stesso: qui in forma di caparra, là nella verità stessa, nel Regno, con chi lo ama.

144

Mercoledì

 

Dal trattato “Lo specchio della fede” di Guglielmo di san Teodorico.

Bibliothèque de spiritualité médiévale, Bruges,1946,pp.124-128.

Sii sollecito nell’unirti allo Spirito Santo. Egli viene appena è invocato e lo si può invocare solo perché è già presente. Quando lo si invoca, viene nell’abbondanza delle benedizioni di Dio. E’ lui il fiume impetuoso che dà gioia alla città di Dio, e quando viene, se ti trova umile e tranquillo, seppur tremante davanti alla parola di Dio, si riposerà in te e ti rivelerà ciò che il Padre nasconde al sapienti e ai prudenti di questo mondo.

Cominceranno a risplendere per te quelle cose che la Sapienza potè rivelare in terra ai discepoli, ma che essi non poterono sostenere fino alla venuta dello Spirito di verità, che avrebbe insegnato loro la verità tutta intera. Dio è spirito (Gv 4,24). Perciò, com’è necessario che i suoi adoratori l’adorino in spirito e verità, così quelli che desiderano conoscerlo e sperimentarlo, solo nello Spirito Santo devono cercare l’intelligenza della fede e il senso puro e semplice di quella verità. Nelle tenebre e nell’ignoranza di questa vita, lo Spirito è per i poveri di spirito la luce illuminante, la carità che attira, la dolcezza più benefica, l’accesso dell’uomo a Dio, l’amore amante, la devozione, la pietà. E’ lui che rivela ai credenti che progrediscono nella fede la giustizia di Dio. E’ lui che dà grazia su grazia. E’ lui che - dalla fede che nasce dall’ascolto della Parola - dona una fede più illuminata.

145

Giovedì

 

Dalle “Omelie” attribuite a Macario l’egiziano.

Hom.16,7,1-2. S Ch 275,205-207.

Sforziamoci supplicando il Signore con la fede che ignora il dubbio, di ottenere lo Spirito promesso che è la vita dell’anima. Per ottenere il pane del corpo, il mendico non si vergogna di bussare alla porta e reclamarlo; se non lo riceve, prosegue oltre e chiede con maggior insistenza, senza vergognarsi. Finché non ha ricevuto qualcosa, non se ne va, anche qualora lo scaccino. Noi desideriamo ricevere il pane celeste, quello autentico che fortifica l’animo, desideriamo le vesti celesti di luce e aspiriamo a calzare i sandali immateriali dello Spirito per il conforto dell’anima immortale; ebbene, quanto più dobbiamo con instancabile tenacità, con fede e con amore, pazientare sempre, bussare senza posa alla porta spirituale di Dio e chiedere con perfetta costanza di essere degni della vita eterna. Lo stesso Signore ci esorta a chiedere sempre, continuamente con costanza energica: Se voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono ? (Lc 11,13). Proprio se è pregato, supplicato e amato, il Signore potrà finalmente donarci la vita eterna secondo il suo desiderio.

146

Venerdì

 

Dai “Discorsi” dell’abate Isaía.

Logos 1°,p.1ss. CSC0,1968

Conviene che uno, prima di accostarsi al Signore, si costringa al bene, anche quando l’anima non ne abbia voglia. Egli attende la misericordia divina in ogni tempo, con fede e senza esitazione; egli si deve costringere anche alla carità, se non c’è in lui carità; si costringa alla serenità, se non c’è in lui serenità; si costringa alla clemenza, per avere un cuore misericordioso; e si costringa a essere paziente e longanime, qualora fosse respinto e disprezzato: soprattutto non gridi. Similmente, si costringa anche alla preghiera, se non ha ancora la preghiera spirituale.

E così Dio, vedendolo combattere e condurre con fermezza la sua anima al bene, pur non volendolo il cuore, gli dona la vera preghiera spirituale. Gli dona la vera carità, gli dona la vera umiltà; gli dona la serenità autentica, la misericordia e la compassione, la vera dolcezza: per dirla in breve, lo riempie dei doni dello Spirito Santo.

147

Sabato

 

Dal trattato “Contro Celso” di Origene.

8,21-24. In “La teologia dei Padri,” Città Nuova,3° vol.pp.183s.

Il perfetto cristiano, il quale nelle parole, nelle opere e nel pensieri è sempre unito al Verbo di Dio, per sua natura Signore, celebra continuamente il giorno del Signore, la sua festa. Chi si prepara incessantemente alla vera vita, si astiene dai piaceri che ingannano i più, non alimenta le mire della carne, ma castiga il corpo e lo tiene in schiavitù. Costui celebra incessantemente una vigilia.

Anzi, egli non cessa mai di celebrare la Pasqua che significa passaggio; passa incessantemente, infatti, in tutti i pensieri, in tutte le parole, dalle faccende di questa vita a Dio, affrettandosi verso la sua città. Oltre a ciò può dire in verità che il Padre ci ha risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli; così vive senza posa nei giorni di Pentecoste; e tanto più se, entrando nel cenacolo come gli apòstoli, si dedica alla preghiera e all’orazione, per rendersi degno del soffio potente che viene dal cielo, soffio che annienta col suo vigore la malizia degli uomini e ciò che ne deriva: costui è anche degno di partecipare alle lingue di fuoco che scendono da Dio.

In questo modo la vita condotta secondo il Verbo divino non è una parte di festa, ma è una festa completa e incessante. Però, se uno fa festa nello spirito, affligge il corpo che, per natura sua e per le sue basse mire, non può far festa insieme con lo spirito. E chi fa festa secondo la carne non può celebrare certo la festa dello spirito.

 

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