Letture della preghiera notturna dei certosini |
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Anno A
T E M P O D I P A S Q U AQuarta Settimana
Il buon Pastore
Il buon Pastore si è fatto pecora per unirci a lui (127); anzi è diventato nostro cibo e nostra bevanda (128), e addirittura è morto per noi (129), per donarci la salvezza eterna. Dietro di lui, a chi pasce il gregge è chiesto un impegno diversificato (130), che si condensa nell'essere icona del buon Pastore (132). La Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo: ecco il nostro ovile eterno (131).
127
Lunedì
Dal Trattato "Contro Apollinare" di san Gregorio di Nissa. Antirrheticus adversus Apollinarem, 16. PG 45,1153.
L’autore della nostra salvezza ha ricondotto la pecora smarrita: ecco il mistero divino che nessuno può ignorare. Questa pecora siamo noi, gli uomini, noi che peccando ci siamo separati dalle cento pecore ragionevoli. Il Salvatore prende in spalla tutta quanta la pecora, dato che non in parte, ma totalmente essa si era perduta; e così tutta intera ora è ricondotta all'ovile. Il Pastore la porta sulle spalle ‑ intendi nella sua natura divina ‑ e la prende su di sé in modo tale ch'essa diventi uno con lui: così il Signore è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto. Dopo aver trovato quella che cercava, la prende in spalla. La pecora non riusciva a camminare con le proprie forze, le sue energie erano venute meno, però Dio la sostiene. Dopo aver preso su di sé quella sua pecora, il Pastore diviene uno con lei. Così può parlare alle sue pecore nel loro linguaggio. Come l'umana debolezza avrebbe potuto comprendere la voce di Dio? Ecco perché il Salvatore ci parla con linguaggio umano, anzi persino con linguaggio di pecora, se così ci si può esprimere. Non dice forse: Le mie pecore ascoltano la mia voce? Questo Pastore che ha preso su di sé la pecora e che, attraverso di lei, ci parla, è quindi ad un tempo pecora e pastore; pecora in quello che è assunto, pastore in quello che assume.
128
Martedì
Dal Discorso di un autore ignoto, (un tempo attribuito a sant'Agostino). Sermo 366,3‑4. PL 39,1647‑1648.
Riconosci, uomo, chi tu fosti, dove eri e a quale padrone sottostavi. Eri una pecora smarrita in lande deserte, aride senz’acqua; brucavi rovi e cardi spinosi, guidata da un mercenario che non ti avrebbe protetta dai lupi. Ma poi il vero pastore è venuto a cercarti. Nella sua tenerezza ti ha preso in spalla e ti ha ricondotta all'ovile, alla casa di Dio, nella Chiesa, dove dimorano le pecore riunite dal tuo pastore, il Cristo Gesù. Egli non è come quel mercenario sotto cui penavi miseramente nel terrore del lupo. Vuoi sapere che cura si prende di te questo buon pastore? Ha dato la vita per te. Lo dice lui stesso nel vangelo: Il buon pastore offre la vita per le pecore. Ed e quanto egli ha compiuto. Si e fatto uccidere al tuo posto dal lupo che ti tendeva agguati. Ormai puoi startene tranquilla nell'ovile. Non hai più bisogno di nessuno, se non di colui che chiude e apre la porta del tuo recinto. Cristo è insieme pastore e porta, anzi è la tua pastura e colui che te la provvede. Questi pascoli preparati dal buon pastore, in cui egli ti ha messo perché ti saziassi, non sono fatti di erbe differenti, ora dolci ora amare e che si succedono secondo il variare delle stagioni. Il tuo pascolo è la parola di Dio e i suoi comandamenti sono gustosi campi seminati. Il Verbo di Dio non ti è solo cibo, ma bevanda. Egli te l'aveva predetto per bocca del profeta: Quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me, avranno ancora sete. E l'avrebbe confermato personalmente dicendo: La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Grazie a queste acque tranquille che Cristo ti offre, diverrai capace di saziarti del cibo saporoso dei pascoli più soavi. Allora capirai ed esclamerai esultando: Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome.
129
Mercoledì
Da “Il Pedagogo" di Clemente Alessandrino;. Le Pédagogue, IX.83,3;84,1‑2;85,1‑2. SC 70,258‑260.
Noi chetiamo ammalati abbiamo bisogno del Salvatore; smarriti, abbiamo bisogno della sua guida; ciechi, di lui che ci porti alla luce; assetati, abbiamo bisogno della fonte di vita, dalla quale chi beve non ha più sete; morti, abbiamo bisogno della vita; pecore, del pastore; bambini, del pedago insomma, tutta la nostra natura umana ha bisogno di Gesù. Volendolo, possiamo apprendere la somma sapienza che ci insegna il santissimo pastore e maestro, l'onnipotente Verbo del Padre, quando con una allegoria si proclama pastore delle pecore. È anche pedagogo dei bambini: infatti, rivolgendosi ai pastori d'Israele, descrive la sua giusta e salutare sollecitudine per bocca di Ezechiele: Fascerò la pecora ferita, curerò quella malata, ricondurrò all'ovile quella smarrita e le pascero sul mio monte santo. Tale e il nostro pedagogo, davvero buono. Non sono venuto ‑ egli dice ‑ per essere servito, ma per servire. Perciò nel vangelo sta scritto che era stanco colui che si e affaticato per noi, promettendo anche di dare la propria vita in riscatto per molti. Dimostra così di essere lui solo il buon pastore. Generoso e magnifico è colui che giunge al punto di dare la sua vita per noi. Veramente a servizio degli uomini e pieno di bontà, egli, che potendo essere il Signore dell'uomo, volle essere suo fratello. Buono fino al punto di morire per noi!
130
Giovedì
Dalle Omelie di san Beda il Venerabile. Homilia 15,lib.II. PL 94,217.
Pascere le pecore di Cristo equivale a confermare i credenti in Cristo, perché non abbandonino la fede; vuol dire affaticarsi, perché in tale cammino essi progrediscano sempre di più. Va notato con cura come questo pascere il gregge del Signore richieda un impegno che non è uniforme, ma diversificato. Il superiore, infatti, dovrà provvedere diligentemente che i sudditi non manchino degli aiuti materiali, e aver cura di offrir loro, insieme con la parola della predicazione, l'esempio della virtù. Se poi il pastore si accorge che alcuni osteggiano il bene spirituale e magari quello materiale del gregge, resisterà più che può a tale sopraffazione. Anzitutto, il pastore deve avere ben impresso nell'animo questo principio: trattare coloro a cui è preposto non già come se appartenessero a lui, bensì come gregge del suo Signore, secondo ciò che vien detto a Pietro: Se mi ami pasci le mie pecorelle. Le "mie" ‑ sottolinea Gesù ‑ non le "tue". Sappi che ti vengono affidate le mie pecore e, se mi ami perfettamente, ricordati di governarle appunto in quanto mie. Ciò significa che in esse tu procurerai di cercare la mia gloria, il mio dominio, i miei interessi, e non i tuoi. Taluni infatti pascono le pecore di Cristo non per amore di Cristo, ma perché l'ambizione, la smania del potere o del guadagno li pungolano. Nel vangelo il Signore chiama costoro mercenari, non pastori, dato che al sopraggiungere del lupo il mercenario fugge, appunto perché è mercenario e non gli importa delle pecore. Da che si riconosce in modo lampante e preciso il vero pastore? Ebbene, chi sul serio si prende cura del gregge di Cristo è uno che rinunzia al soddisfacimento del suo benessere personale, tanto che all'evenienza sarà pronto a dare la vita per le pecore.
131
Venerdì
Dai Discorsi di Giovanni Taulero. Pour la Pentecóte, 4e sermon. Tralin,Parigi,1911,t.III,63‑65.
Qual è l'ovile di cui Cristo dice d'essere la porta? Questo ovile è il cuore del Padre, che prima era chiuso per tutti. Cristo ne è l'amabile porta, egli ce l'ha spalancata e ci ha fatto entrare nel cuore tenerissimo del Padre. In questo ovile sono riuniti tutti i santi. Il pastore è il Verbo eterno; la porta è l'umanità di Cristo; le pecore di quest'ovile sono i beati, oltre agli spiriti celesti. Il Verbo eterno, il vero è buon pastore di questo amabile ovile, ne ha aperto l'ingresso a ogni creatura ragionevole, come si è detto. Ma il custode di questa casa è lo Spirito Santo. È lui che rivela le verità divine. Come ad ogni istante egli stimoli inclini spinga incalzi il cuore umano, ne hanno una vera esperienza coloro che scendono nel fondo dei proprio cuore. Quanto però nessuno può esprimere, anzi neppure può concepire, sono la dolcezza e l'amore con cui il Figlio eterno di Dio ci apre la porta del cuore del Padre; indicibile e la tenerezza con cui egli scopre senza fine i tesori nascosti di questo santuario impenetrabile, le infinite ricchezze della dimora divina; impareggiabili sono la prontezza, la gioia, l'urgenza con cui egli viene, ad ogni istante; anzi precede l'uomo, per spingerlo amabilmente a entrare. Questa sorprendente condiscendenza, questo prodigioso affetto di Dio che lo dispongono in ogni ora e in ogni momento a riceverci con tanta affabilità e con simile grazia, senza badare a quello che fummo, al vizi e ai peccati di cui siamo responsabili, per fissare solo e sempre in fondo al nostro cuore il desiderio di quel che vorremmo essere: questa inconcepibile benevolenza di Dio ‑ ripeto ‑ dovrebbe infiammarci e premere il nostro cuore a rispondere all'amore con l'amore, per seguire Cristo e aderire a lui con tutte le nostre forze.
132
Sabato
Dai Detti dei Padri del deserto. Poemen 188. Vita e detti dei Padri del deserto,Trad. Mortari, Roma, 1975,vol.20,124."Contac”,58,1867. Antonio,27.Op.cit.,trad.Mortari,Roma,1975,vo1°,91.
Un discepolo chiese al padre Poemen: "Alcuni fratelli vivono con me; vuoi che dia loro ordini?". "No ‑ gli rispose l'anziano ‑ fa' il tuo lavoro tu, prima di tutto; e se vogliono vivere, penseranno a se stessi. Il fratello gli ribatte: "Ma sono proprio loro, padre, a voler che io dia ordini ad essi. Dice a lui l'anziano: “N0! Diventa per loro un modello, non un legislatore". Un giovane andò a trovare un asceta anziano, istruito nelle vie della perfezione. Ma l'anziano non diceva sillaba, L'altro gli domandò la ragione di tal silenzio ostinato. "Sono forse un superiore per darti ordini?" gli rispose l'anziano. “Non dirò nulla. Fa', se vuoi, quel che mi vedi fare". Da allora il giovane imitò in tutto l'asceta e imparò il senso del silenzio. Tre padri avevano la consuetudine di andare ogni anno dal beato Antonio: due di loro lo interrogavano sui pensieri e sulla salvezza dell'anima; il terzo invece sempre taceva e non domandava nulla. Dopo lungo tempo, il padre Antonio gli dice: "È tanto ormai che vieni qui e non mi domandi nulla". Gli rispose: "A me, padre, basta il solo vederti”.
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