Home

Letture della preghiera notturna dei certosini

 Anno C

 

Tempo Ordinario

 

Ventreesima Settimana

 

 

VANGELO (Mt 22,34-46)

Amerai il Signore Dio tuo, e il tuo prossimo come te stesso.

 

In quel tempo, i farisei, udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: “Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?”.

Gli rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti”.

Trovandosi i farisei riuniti insieme, Gesù chiese loro: «Che ne pensate del Messia? Di chi è figlio?». Gli risposero: «Di Davide». Ed egli a loro: «Come mai allora Davide, sotto ispirazione, lo chiama Signore, dicendo:

Ha detto il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra,

finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi?

Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?».Nessuno era in grado di rispondergli nulla; e nessuno, da quel giorno in poi, osò interrogarlo.

 

Il massimo comandamento

 

 

Se l’uomo è portato per natura ad amare Dio (265), la carità soprannaturale, liberandoci da un attaccamento esclusivo alle realtà terrene (266) ci trasfigura (267). Ama e riceverai il regno! (268). Inghirlandato di umiltà, di fede e di preghiera (269), l’amore corre verso Dio (270).

 

265

Lunedì

 

Dalle “Regole ampie” di san Basilio.

Qst. 2. PG 31,908-912.

 

L’amore di Dio non si insegna. Non abbiamo irnparato da nessuno a gioire della luce né ad essere attaccati alla vita più che ad ogni altra cosa. Nessuno ci ha neppure insegnato ad amare coloro che ci hanno messo al mondo o ci hanno allevato.

Allo stesso modo, o meglio, a più forte ragione, non è un insegnamento datoci dall’esterno quel che ci fa amare Dio. Nella natura stessa dell’essere vivente - voglio dire dell’uomo - si trova un germe che contiene in sé il principio di questa inclinazione ad amare. E solo alla scuola dei comandamenti di Dio è possibile raccogliere questo seme, coltivarlo con diligenza, nutrirlo con cura e portarlo a pieno sviluppo mediante la grazia divina.

Abbiamo ricevuto il precetto di amare Dio, sicché possediamo una forza, immessa in noi fin dalla prima strutturazione del nostro essere, che ci spinge ad amare. Siamo portati per natura a desiderare le cose belle, anche se il bello appare diverso all’uno e all’altro. Ora, che cosa c’è da ammirare più della divina bellezza? Quale desiderio spirituale è così ardente e quasi inarrestabile come quello che Dio fa nascere nell’anima purificata da tutti i vizi, la quale esclami con cuore sincero: Sono malata d’amore? (Ct 2,5). Del tutto ineffabile e inesprimibile è lo splendore della bellezza divina. Però, propriamente parlando è bello e amabile ciò che è buono. Ora Dio è buono. E se anche non abbiamo conosciuto dalla sua bontà quel che egli sia, dobbiamo grandemente amarlo e averlo caro per il solo fatto di essere stati da lui generati; restiamo continuamente sospesi alla memoria di lui, come bimbi aggrappati alla mamma.

266

Martedì

 

Dai  “Capitoli sulla carità” di san Massimo il confessore .

I, 4-5. 16-17.39-40. FG 2° 50-54.

 

La carità è la migliore disposizione dell’anima che nulla preferisce alla conoscenza di Dio. Nessuno tuttavia, potrebbe mai raggiungere tale disposizione di carità se nel suo animo fosse esclusivamente legato alle cose terrene.

Chi ama Dio, antepone la conoscenza e la scienza di lui a tutte le cose create, e ricorre continuamente a lui con il desiderio e con l’amore dell’animo.

Chi mi ama, dice il Signore, osserverà i miei comandamenti (cf Gv 14,15). E aggiunge: Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri (Gv 15,17). Perciò, chi non ama il suo prossimo, non osserva i comandamenti di Dio, e chi non osserva i comandamenti non può neppure dire di amare il Signore. Beato l’uomo che sa amare in modo uguale ogni uomo.

Chi possiede dentro di sé l’amore divino, non si stanca e non viene mai meno nel seguire il Signore Dio suo, ma sopporta con animo forte ogni sacrificio e ingiuria e offesa, non augurando affatto il male a nessuno. Non dite, esclama il profeta Geremia, siamo tempio di Dio (cf Ger 7,4). E neppure direte: La semplice e sola fede nel Signore nostro Gesù Cristo mi può procurare la salvezza. Questo infatti non può avvenire se non ti sarai procurato anche l’amore verso di lui per mezzo delle opere. Per quanto concerne infatti la sola fede: Anche i demoni credono, e tremano (Gc 2,19).

Opera di carità è il fare cordialmente un favore, l’essere longanime e paziente verso il prossimo; e così pure usare in modo retto e ordinato delle cose create.

 

267

Mercoledì

 

Dalla “Scala del Paradiso” di san Giovanni Climaco.

30° grado, 7-9.17.27-28.16. Op.cit. pp.306-308.

 

L’amore è perfetto ripudio di qualsiasi pensiero che sia contrario alla carità verso il prossimo, perché san Paolo ci insegna che la carità non pensa il male. Perciò chi ama il Signore ama anche il fratello. Anzi, il secondo amore è la dimostrazione del primo. Colui che dice di amare il Signore, ma monta in collera contro suo fratello, assomiglia a chi corre mentra sta sognando.

L’amore, la quiete inalterata e l’adozione a figli di Dio differiscono solo di nome. Come la luce, il fuoco e la fiamma sono presenti in una medesima operazione, così queste tre realtà dello spirito sono una sola cosa. Quando l’uomo è pervaso completamente dall’amore di Dio, lo splendore dell’anima si irradia da tutta la persona come attraverso un cristallo.

Se il volto di un essere amato produce nel nostro essere intero un cambiamento manifesto e ci rende lieti, allegri e liberi da ogni cruccio, che cosa non farà il volto del Signore nell’anima pura venendo invisibilmente a dimorare in essa?

L’amore nella sua natura rende l’uomo simile a Dio, per quanto ciò è possibile ad un essere creato. Nei suoi effetti è ebbrezza dell’anima; nelle sue proprietà, l’amore è sorgente di fede, è abisso di pazienza, è oceano di umiltà.

268

Giovedì

 

Dalle “Lettere” di sant’Anselmo d’Aosta.

Lett. 112 a Ugo il recluso. Opera omnia,VoI.3°,pp.245-246, Nelson, Edimburgo, 1946.

 

Regnare in cielo altro non è che aderire a Dio e a tutti i santi, mediante l’amore, in una sola volontà, al punto che tutti esercitino un solo e medesimo potere. Ama perciò Dio più di te stesso e già comincerai ad ottenere quanto vuoi possedere perfettamente in cielo. Mettiti d’accordo con Dio e con gli uomini - purché tuttavia costoro non si separino da Dio - e già inizierai a regnare con Dio e tutti i beati.

Nel grado infatti in cui ora sei in armonia con la volontà divina e dei fratelli, Dio e tutti i santi saranno d’accordo con i tuoi voleri. Vuoi essere re in cielo? Ama Dio e gli uomini, come lo devi, e meriterai di essere quello che ti auguri.

Non potrai però possedere questo amore perfettamente, se non vuoti il cuore di ogni altro amore. Ecco perché quelli che colmano il proprio cuore di amore di Dio e del prossimo hanno come unica volontà quella di Dio - o quella di un altro uomo, purché non in disaccordo con quella di Dio. - Sicché sono fedeli nel pregare, nel ricordarsi del cielo e nel fissare il proprio pensiero su tali realtà; fa loro piacere desiderare il Signore, parlare di colui che amano, ascoltare parlare di lui, pensare a lui. Si rallegrano con chi è nella gioia, piangono con chi è afflitto, hanno compassione per gli infelici, distribuiscono beni ai poveri. Insomma amano gli altri come sé stessi. Sì, davvero tutta la legge e i profeti sono racchiusi nei due comandamenti dell’amore cf Mt 22,40).

 

269

Venerdì

 

Dalle “Cento considerazioni sulla fede” di Diàdoco di Fòtica.

nn. 13.21 . S Ch 5.

So di uno che ama tanto Dio, eppure si lamenta di non amarlo come egli vuole, al punto che la sua anima non cessa mai di struggersi in un’ardente passione tale da fargli glorificare Dio in sé stesso e quasi annullarsi. Egli non riconosce di valere qualcosa, neppure quando nei discorsi ne tessono l’elogio. Infatti, non tiene in nessun conto la sua dignità, ma si dedica al servizio divino secondo il rito sacerdotale; decisamente impegnato ad amare Dio occulta il ricordo della propria dignità nel profondo dell’amore divino, ivi soffocando in spirito di umilità ogni gloria che ne potrebbe trarre. Vuole in ogni occasione presentarsi al giudizio della sua mente come un servo inutile. Cosi facendo, anche  noi dobbiamo fuggire ogni onore e gloria per la sovrabbondante ricchezza dell’amore del Signore che ci ha tanto amati.

Nessuno può vivere autenticamente nell’amore o nella fede se non si fa accusatore di sé stesso. Quando infatti la nostra coscienza si turba rimproverando sé stessa, allora la mente non si abbandona più a sentire in sé la fragranza dei beni sopramondani, ma subito rimane divisa tra le incertezze. Da una parte si muove in tensione fervida secondo la sua precedente esperienza di fede, dall’altra non può più coglierla col senso del cuore per le vie dell’amore, perché la coscienza la rimprovera. Solo quando ci saremo purificati con un più fervido impegno, realizzeremo il nostro desiderio con una maggiore esperienza di Dio.

270

Sabato

 

Dai “Capitoli” di Niceta Stéthatos.

II, 41; I,82; III,37. FG 3°, 435. 417. 468.

 

Niente altro innalza l’anima all’amore per Dio e alla carita verso il prossimo come l’umiltà, la compunzione e la preghiera pura. L’umiltà rende contrito lo spirito, fa scorrere rivi di lacrime e portando davanti agli occhi la brevità della vita umana, insegna a conoscere la pochezza di sé. La compunzione purifica l’intelletto dalla materia, illumina lo sguardo del cuore e rende l’anima fulgente. La preghiera pura congiunge l’uomo a Dio e lo rende nella vita simile agli angeli; gli fa gustare la dolcezza dei beni eterni, gli dona i tesori dei grandi misteri, e accendendolo di carità, lo persuade a osare di porre la propria vita per gli amici. Infatti in colui che è ferito nel profondo dall’amore di Dio, questa inclinazione è superiore alla forza del corpo, poiché in lui essa non si sazia nelle fatiche e nei sudori dell’ascesi.

Costui è nella condizione di quelli che patiscono una sete enorme; non c’è nulla che possa curare fino a saziarla l’arsura di quella inclinazione; per tutto il giorno e la notte ha sete di faticare. Infatti, quanto procede nelle sue ascensioni in virtù dello Spirito e penetra nelle profondità di Dio, tanto si consuma per il fuoco del desiderio e scruta la grandezza dei suoi misteri sempre più fondi. Essa ha fretta di accostarsi alla luce beata, ove si arresta ogni tensione dell’intelletto per conoscere nella letizia del cuore il riposo delle proprie corse.

 

Send this page to a friend -
 
Manda questa pagina ad un amico