Letture della preghiera notturna dei certosini |
Tempo Ordinario
Diciottesima Settimana
VANGELO
(Mc 7,31-37)
Fa
udire i sordi e fa parlare i muti.
In quel tempo, di ritorno dalla regione di Tiro, Gesù passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decapoli. E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: “Effatà” cioè: “Apriti!”. E
subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e
parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più
egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore,
dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i
muti!”. Orecchi che odono, occhi che vedono
Se il Signore guarisce i nostri corpi, perché non potrà sanarci l’anima, se glielo chiediamo? (229, 230). La custodia dei sensi in solitudine (231, 232) conduce alla fruizione di Dio (233, 234).
229 Lunedì
Dalla “Parafrasi” di Simeone Metafrasto ai discorsi di Macario l’egiziano. N.72. FG 3°,304-305.
Corriamo
prontamente a Cristo che chiama, riversando su di lui i nostri cuori e non
rifiutiamo con cattiveria deliberata la nostra propria salvezza. Poiché
questa è sottile perfidia del Maligno: spianare la strada alla
disperazione col ricordo dei peccati passati. Ma
noi dobbiamo considerare che se Cristo venne a sanare e raddrizzare
ciechi, paralitici e sordi e a risuscitare morti già corrotti, quanto più
non sanerà la cecità della mente e la paralisi dell’anima e la sordità
del cuore negligente? Poiché lui e non un altro ha creato il corpo, è
lui stesso che ha creato anche l’anima; e se fu tanto benevolo e
propizio a corpi paralitici e morti, quanto più non tratterà con quella
sua cura di amante degli uomini l’anima immortale presa dalla malattia
della malizia e dell’ignoranza, ma che poi gli si accosta e lo supplica?
Giacché sono sue le parole: Il mio Padre celeste non vendicherà
coloro che gridano a lui notte e giorno? Sì, io vi dico, li vendicherà
in fretta (cf Lc 18,8); e: Chiedete e vi sarà dato, cercate e
troverete, bussute e vi sarà aperto (Mt 7,7). E ancora: Anche se non
glielo darà perché è amico, certo per la sua importunità si alzerà e
gliene darà quanto gliene occorre (cf Lc 11,8); con ciò il Signore ci
prescrive che la richiesta sia importuna e perseverante, poiché egli è
venuto per i peccatori, per farli ritornare a sè. Noi,
allora, tenendoci lontano quanto possiamo dalle cattive predisposizioni,
siamo liberi per il Signore, ed egli non ci disprezzerà ma sarà pronto
ad offrirci il suo aiuto.
230 Martedì Dagli scritti di sant’Efrem il siro. Livre d’Heures d’Encalcat, 1964, pp.899-900. La
potenza divina che non possiamo toccare si è rivestita, venendo in terra,
di membra palpabili, perché la nostra debolezza possa giungere a lei e
sentire la divinità toccando l’umanità. Il
sordomuto guarito da Cristo sentì dita di carne toccargli le orecchie e
la lingua; ma quando i suoi sensi furono riaperti, per l’intermediario
di quelle dita accessibili ai suoi sensi, egli raggiunse l’inaccessibile
Divinità. Una
volta ancora il Signore completava ciò che mancava alla natura. Che cosa
di più importante di un’imperfezione nei sensi? E quando vediamo Cristo
ripararla perfettamente, dobbiamo credere che il Salvatore sta per portare
a compimento la nostra intera natura. E’ nel segreto del seno materno
che egli forma le nostre membra, ma è in pieno giorno che volle rendere
perfette quelle difettose. Tali miracoli ci mostrano fin dal principio
come il corpo intero sia opera sua. Gesù
spalmò saliva sulle orecchie del sordo, come l’aveva fatto sugli occhi
del cieco nato. Il gesto rivela che entrambi avevano un difetto fin
dall’origine ed era necessaria una sostanza tratta dall’artefice
stesso per risanarli. Ma non era conveniente che il Signore mutilasse il
proprio corpo per curarci. Insomma, le sue membra ebbero realmente parte
alla guarigione dei malati senza nulla perdere. Ancora
così il Signore oggi agisce con noi, quando sotto la forma di un cibo
offerto a tutti, dona sé stesso da mangiare ai mortali. Con gli uomini
colpiti da un difetto, egli completava quanto loro mancava; a noi mortali
dona la vita.
231 Mercoledì
Dalla “Lettera d’oro” di Guglielmo di san Teodorico. Nn.104-106. Sansoni,p.131. L’Apostolo
raccomanda di custodirci puri con sollecitudine (cf 1Tm 5,22), e tu, per
non perderti mai di vista, distogli gli occhi da tutti. Straordinario
strumento del corpo l’occhio, se potesse vedere sé stesso, come vede
gli altri oggetti! Ora, all’occhio interiore è stato concesso questo
privilegio; se, sull’esempio dell’occhio esteriore, si trascura per
portare tutta la sua attenzione su realtà estranee, quand’anche poi lo
volesse con fermezza non è più capace di ritornare a sé stesso.
Occupati dunque di te; tu sei per te stesso ampia materia di
sollecitudine. Allontana dagli occhi del corpo quello che hai perduto
l’abitudine di vedere; e dagli occhi dell’anima quello che non ami più,
perché nulla si ravviva tanto facilmente come l’amore, soprattutto
nelle anime tenere e novizie. Osa
anche talvolta gustare ed aspirare ai doni migliori; sii a te stesso
parabola di edificazione. Altra è la tua cella esteriore, altra
l’interiore. L’esteriore è la casa dove la tua anima dimora con il
tuo corpo; l’interiore, è la tua coscienza, dove deve abitare, intimo
fra tutti i tuoi intimi, Dio con il tuo spirito. La porta della clausura
esteriore è il simbolo della porta del baluardo interiore: come la prima
non permette ai sensi del corpo di vagare all’esterno, così i sensi
dell’anima siano trattenuti sempre all’interno che è loro. Ama
dunque la tua cella interiore, ama anche l’esteriore e rendi a ciascuna
il culto che le spetta.
232 Giovedì
Dalla “Lettera sulla vita monastica” di Filòsseno di Mabboug. Nn. 131.147. L’Orient syrien,VI,1961. I
nostri padri spirituali dicono che la cella del monaco è la fornace di
Babilonia dove i tre fanciulli videro il Figlio di Dio. Ebbene fratelli
miei, se Anania e i suoi compagni non avessero sopportato la vampa delle
fiamme e risoluto di morire,non sarebbero stati giudicati degni di quella
visione gloriosa e della nube di rugiada che estinse il fuoco. Essi
rinunciarono a tutti i beni della vita, stimando più opportuna la morte
dopo una breve vita temporale piuttosto che rinnegare Iddio. Magnifica
carità di quegli illustri atleti, talmente ardente da spegnere la fiamma
del fuoco. Ecco quella estasi ineffabile il cui fuoco spense il fuoco: il
fuoco dell’amore di Anania e compagni estinse il fuoco di Babilonia,
reggia di Nabucodònosor. Così pure tutti quelli che sopportano le prove
della fornace della cella e che nonostante i colpi non cadono nella
disperazione, hanno i corpi trasformati dalla condizione corporea a quella
spirituale. I loro volti si illuminano della luce santa che brilla loro in
cuore, come quella che apparve ad Anania e ai suoi beati compagni, affinché
mediante la visione della luce di gloria che li illuminava, fosse nascosta
ai loro occhi la luce del fuoco di Babilonia e ch’essi non la
scorgessero più. Beato
il monaco che non ha spento il fuoco divino nel suo cuore! Beato colui che
ha avuto la gloriosa visione del nostro Salvatore e Signore, il Cristo Gesù,
quando egli si è rivelato durante la preghiera, allo spirito pervenuto
nella regione della quiete serena.
233 Venerdì
Dalle “Considerazioni sulla fede” di Diàdoco di Fòtica. N.30. S Ch 30. Il
gusto dell’intelletto è un gusto preciso di ciò che si discerne. Allo
stesso modo infatti in cui mediante il senso corporeo del gusto, quando
godiamo buona salute, distinguiamo senza errore il buono dal cattivo e ci
indirizziamo verso quanto ci fa bene, così anche la nostra mente quando
comincia a muoversi sana e libera da affanni, può sentire abbondantemente
la consolazione divina, senza mai farsi prendere da quella opposta. Come
il corpo per gustare le dolcezze della terra possiede l’infallibile
esperienza del senso, così anche la mente, quando esulta al di sopra dei
consigli della carne, può gustare senza errori la consolazione dello
Spirito Santo. Gustate - dice infatti la Scrittura, - e vedete
quanto è buono il Signore (Sal 33,9). Possiamo
allora conservare intatto, per effetto dell’amore, il ricordo del gusto,
per cui distinguiamo con sicurezza ciò che è più importante, secondo
l’espressione di san Paolo: Prego che la vostra carità si arricchisca
sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché
possiate distinguere sempre il meglio (Fil 1,9-10).
234 Sabato
Dai “Dialoghi” di san Gregorio Magno. 11,35. PL 66,198-200.
In
piedi davanti alla sua finestra, Benedetto, in piena notte, pregava il
Signore onnipotente; ad un tratto vide sorgere una luce che dissipava le
tenebre e brillava di tale splendore, che avrebbe fatto impallidire quello
del giorno. Mentre la guardava successe qualcosa di straordinario: come
raccontò più tardi, il mondo intero si raccolse tutto davanti al suoi
occhi come in un raggio di sole. -
Come è possibile che il mondo intero sia visto così da un uomo? -
Per chi vede il Creatore, l’intera creazione è limitata. Se appena si
intravede la luce di Dio, tutto ciò che è creato appare troppo angusto.
La luce della contemplazione interiore, infatti, ingrandisce l’anima, e
questa, a forza di dilatarsi in Dio, travalica il mondo. Debbo dirlo?
L’anima del contemplativo oltrepassa sé stessa, quando nella luce di
Dio, è trasportata al di là di sé. Allora, guardando sotto di sé,
comprende quanto sia limitato ciò che sulla terra le sembrava senza
confini. Quell’uomo non ha potuto avere quella visione se non nella luce
di Dio. Non c’è allora da stupirsi che abbia visto il mondo intero
tutto raccolto davanti a sé, poiché egli stesso, nella luce dello
Spirito, era innalzato fuori del mondo. Quando si dice che il mondo si raccolse sotto i suoi occhi, non significa che il cielo e la terra si siano contratti. Ma l’anima del veggente si è dilatata. Rapito in Dio, poté vedere senza fatica tutto ciò che è al di sotto di Dio. |
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