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Letture della preghiera notturna dei certosini

 Anno C

 

Tempo Ordinario

 

Diciassettesima Settimana

 

VANGELO (Lc 18,9-14)

Il pubblicano tornò a casa sua giustificato, a differenza del fariseo.

 

In quel tempo, Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.

Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo.

Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore.

Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.

 

Umiltà

 

Come vi è un orgoglio mondano e un orgoglio monastico, così esiste un’umiltà mondana e un’umiltà monastica (223, 224).

Tramite la conoscenza di sé (225,226) e la messa in pratica del vangelo di Cristo (227) si acquista un cuore puro. (228)

 

 

223

Lunedì

 

Dalle “Istruzioni” di Doroteo di Gaza.

Istruz.II,32.33.38. S Ch92,195-197.203-205.

 

Esiste un orgoglio tipico del mondo e un orgoglio tipico della vita monastica. L’orgoglio mondano consiste nell’innalzarsi sopra il fratello perché si è più ricchi, più belli, perché si indossano vesti più belle o si è più nobili di lui.

L’orgoglio tipico della vita monastica consiste nel vantarsi di fare lunghe veglie, di digiunare, di essere pii, di compiere sante pratiche ascetiche, di essere pieni di fervore o addirittura nell’umiliarsi ma per riceverne gloria. Questo è l’orgoglio monastico. Vediamo ora quali sono i due generi di umiltà. Il primo genere di umiltà consiste nello stimare il proprio fratello più intelligente e superiore in tutto; insomma, come disse quel santo, nel “mettersi al di sotto di tutti”. Il secondo genere di umiltà consiste nell’attribuire a Dio tutto quello che riusciamo a fare. Questa è l’umiltà perfetta dei santi.

E’ evidente infatti che l’umile, l’uomo di fede sa che non può far nulla di buono senza l’aiuto e la protezione di Dio e così non smette mai di invocarlo perché il Signore gli usi misericordia. E chi prega Dio senza sosta, se gli è dato di compiere qualcosa di valido, sa da dove gliene è venuta la capacità e non può vantarsene o attribuire quella bell’opera alle sue forze; invece tutto quello che riesce a fare lo attribuisce a Dio e non smette mai di ringraziarlo e di invocarlo. Teme che gli venga meno tale aiuto, e che affiori la sua debolezza e la sua impotenza. Così grazie all’umiltà prega e grazie alla preghiera si umilia e fa il bene; e più si umilia, più riceve l’aiuto di Dio e avanza grazie alla sua umiltà.

 

224

Martedì

 

Dai “Detti” dei padri del deserto.

Poemen 36.Nau 656. Poemen 167.Nau 305. Poemen 49. Mortari,1972,pp.278-285.

 

Il padre Poemen disse: Gettarsi dinanzi a Dio, non misurare sé stessi, e buttare dietro di.sé la propria volontà, questi sono gli strumenti dell’anima.

Disse anche: L’umiltà è la terra in cui il Signore ha ordinato che si faccia il sacrificio.

E poi disse: Se l’uomo resta al suo posto, non subisce turbamento.

Un anziano affermò: Non dire nel tuo cuore queste cose contro il tuo fratello: Io sono più vigilante e più ascetico; ma sottomettiti alla grazia di Cristo con spirito di povertà e amore non finto, per non cadere nello spirito di vana gloria e perdere la tua fatica. Sta scritto infatti: Colui che crede di stare in piedi, guardi di non cadere (1Cor 10,17). Sii condito con sale nel Signore.

Un anziano sentenziò: In qualunque prova non incolpare nessuno, ma soltanto te stesso, dicendo: Questo mi accade per i miei peccati.

L’abate Poemen disse: L’uomo ha bisogno dell’umiltà e del timor di Dio come del respiro che esce dalle sue narici.

 

225

Mercoledì

 

Dalla “Scala del Paradiso” di san Giovanni Climaco.

Grado 25°,28,29,38,53. Op.cit.223,225,227.

 

Chi conosce sé stesso con finissima sensibilità del cuore, getta un seme in terra; ma quelli che non seminarono così, non possono vedere fiorire l’umiltà. Chi conosce sé stesso ottiene di avere nell’animo il timore del Signore; e chi avanza puntellandosi su questo sentimento varcherà la porta dell’amore.

Contrizione, conoscenza di sé e umiltà son tre cose differenti. La contrizione è generata da una caduta. Chi cade si spezza e prega senza fiducia filiale, ma con lodevole impudenza; depresso com’è, si appoggia al bastone della speranza e se ne serve per scacciare il cane della disperazione.

La conoscenza di sé è lucidità dei propri limiti e ricordo spietato delle proprie minime pecche.

L’umiltà è la dottrina spirituale di Cristo, dottrina che viene ad unirsi spiritualmente e in segreto nel cuore di quelli che ne furono giudicati degni; è dottrina che le parole umane non possono esprimere. Chi chiede a Dio meno di quanto merita, riceverà certo più di quanto sia degno. Lo dimostra l’esempio del pubblicano. Chiedeva il perdono e ricevette la giustificazione. E il ladrone chiedeva soltanto al Signore che si ricordasse di lui nel suo Regno ma ricevette in eredità il paradiso intero.

 

226

Giovedì

 

Dai “Discorsi ascetici” di Isacco di Ninive.

Disc.21. Op.cit.,145.

 

Il giusto che non abbia coscienza della propria debolezza vive sul filo di un rasoio. Non è lontano dal cadere e lo spia da vicino il leone distruttore, voglio dire il démone dell’orgoglio.

Chi non conosce la propria debolezza manca infatti di umiltà. E costui è privo di perfezione. Ma chi è imperfetto trema sempre di spavento. Infatti la sua città non è fondata su colonne di acciaio né su basamenti bronzei, ossia sulle fondamenta dell’umiltà.

Mai nessuno diventerà umile se non percorre i sentieri che spezzano il cuore e annientano la presunzione. Non è raro infatti che il nemico trovi in noi qualche appiglio mediante il quale riuscirà a farci deviare.

Senza umiltà l’uomo non può assolutamente compiere la sua opera. Il sigillo dello Spirito non potrà venir impresso sulla sua lettera di affrancamento finché resta schiavo e la sua opera non ha superato lo stadio della paura. Ripeto: nessuno lavora bene il suo cuore senza umiltà; e nessuno impara se non passa attraverso la prova. Soltanto così può acquistare l’umiltà.

 

227

Venerdì

 

Dalle “Istituzioni” di san Giovanni Cassiano.

Lib.XII,capp.31-33. S Ch

 

Se vogliamo raggiungere le altezze della perfezione che piace a Dio, occorre gettare le fondamenta non secondo il nostro capriccio, ma seguendo la stretta disciplina evangelica. Essa altro non è se non timore di Dio e umiltà che procede dalla mansuetu dine e dalla mitezza di cuore. L’umiltà poi non si può acquisire senza il distacco dalle cose. E senza di essa non possiamo acquistare né il bene dell’obbedienza né la fortezza della pazienza, né la tranquillità della mente né la perfetta carità; se poi mancano tali virtù, il nostro cuore non può essere dimora dello Spirito Santo, poiché il Signore ha affermato che volge lo sguardo soltanto sull’umile e su chi ha lo spirito contrito (Is 66,2).

Sopporteremo tutto con facilità, giudicandolo poco o nulla, se ripenseremo sempre alla passione di Cristo e dei suoi santi. Così offese, sgarbi e villanie ci parranno tanto più lievi quanto siamo lontani dai meriti e dal modo di vivere dei santi. Questo pensiero è davvero efficace e ci renderà umili verso Dio.

E tutto sarà fatto quando arriveremo a persuaderci che senza l’aiuto e la grazia divina non possiamo far nulla per la perfezione interiore. Anzi, persino capire questo è in verità un dono stupendo del Padre dei cieli.

 

228

Sabato

 

Dai “Capitoli pratici” di Niceta Stethatos.

1,47-49. FG 3°, 406

 

Per i lottatori, ogni abbandono da parte di Dio avviene, naturalmente, per questi motivi: per la vanagloria, per la condanna del prossimo e per l’esaltazione a causa della virtù. Se una di queste cose si sarà avvicinata alle anime dei lottatori, procurerà loro l’abbandono di Dio; essi non sfuggiranno al giusto giudizio di questo abbandono per le loro cadute, finché, dopo aver rigettato da sé la causa che ha preceduto l’abbandono, non si rifugiano nell’altezza dell’umiltà.

Non solo il non conservarsi puro dai pensieri passionali è impurità del cuore e macchia l’anima, ma anche l’esaltarsi per il gran numero di opere buone, il gonfiarsi per le virtù, il presumere grandi cose per la sapienza e la conoscenza di Dio e il biasimare i fratelli noncuranti e negligenti. Ciò risulta chiaro dalla parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18,8). Non credere di essere stato liberato dalle passioni e di sfuggire la contaminazione dei pensieri passionali che ne derivano, se hai ancora il sentire orgoglioso e superbo per le virtù; finché confidi in te stesso e nelle tue opere, non vedrai dimora di pace nella bontà dei pensieri né entrerai con gioia nel tempio della carità, con ogni dolcezza e quiete di cuore.

 

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