Home

Letture della preghiera notturna dei certosini

[Anno A] [Anno C]

 Anno A

 

Tempo Ordinario

 

Quattordicesima Settimana

 

 

 

189

 

Dall’Opuscolo sull’osservanza eremitica di San Pier Damiani.

De Institutis Ord. Eremit. Opusc. XV, 25. PL 145, 357-358.

 

Ciò che può alleviare il peso dell’austerità eremitica.

 

Quando il timore lascia il posto all’amore e la schiavitù alla libertà interiore, quello che prima era imposto  si muta in desiderio voluto; ciò che ieri sembrava duro, austero, diventa dolce e piacevole, grazie all’ineffabile incendio della carità.

Ecco perché con tutte le forze dobbiamo tendere verso la perfezione. Altrimenti dovremo sobbarcarci a un cumulo fastidioso di contrarietà e di prove. È duro, si, portare il giogo del RE, ma studiati di ottenere il favore, comincia a stargli accanto con familiarità, entrando sovente da lui e soffermandoti a colloquio diretto, anzi facendo parte del suo consiglio privato. Allora la gravosa disciplina militare farà presto a diventarti simpatica simpatica e gradevole, la fatica incessante ti sembrerà più placida di qualunque riposo.

Ormai faticherai senza pena, sarai molto impegnato senza provare disagio, pur in un continuo andare e venire sarai sempre in pace.

Sbrigati a vincere le tue passioni, affinché, ammesso all’intimità del Re, tu aderisca a lui come amico intimo: l’occhio della tua mente si fisserà nell’Autore della luce tanto più puro quanto meno gli farà velo la caligine dei fantasmi e dei vani pensieri. Spesso, infatti, quando le tentazioni ci assalgono da ogni parte, un cenno della bontà di Dio ci rapisce in contemplazione e, come se fossimo già nell’anticamera del cielo, intravediamo la magnificenza della gloria divina quasi attraverso reconditi spiragli.

Lo sguardo interiore gusta, lui solo, le delizie del Re, mentre le membra del corpo sono ancora straziate dalla tormenta.

Vuoi alleviare la fatica del percorso? Tendi lo sguardo verso la dimora della quiete.

   

190

 

Dall'Opuscolo sull'osservanza eremitica di San Pier Damiani.

De Institutis Ord. Eremit. Opusc.XV,26. PL 145,358.359.

 

Come acquisire la grazia delle lagrime

 

Come possiamo ottenere la grazia della compunzione? Ebbene, se invece di un cuore arido e desolato cerchi l'abbondanza delle lacrime, non solo devi sganciarti dallo strepito degli affari mondani, ma persino spesso occorrerà ritrarti dalle piacevoli conversazioni degli incontri fraterni.

Amputa da te ogni cura e preoccupazione per le attività del secolo, affrettati a rimuoverle come macerie ingombranti, come ostacoli che ostruiscono il fluire della sorgente interiore. A volte un'acqua che sale da profondità abissali, si raccoglie in una conca, ma non può defluire perché, i massi le sbarrano il corso. Così nel cuore umano quella mestizia, che nasce dal meditare la profondità dei divini giudizi, non può erompere in un torrente di lacrime se la bloccano attività puramente terrene. Questa tristezza di cielo è come la sostanza delle lacrime, ma perché la vena di questa fonte fluisca, devi allontanare tutti gli sbarramenti terreni e mondani.

Come un agricoltore solerte e prudente, mettiti a lavorare il tuo campo dalla mattina alla sera; fendi la terra del cuore con il vomere della santa disciplina, rompi per benino le zolle della tua durezza, suda e fatica a estirpare i rovi delle passioni; poi, con gli occhi puntati in cielo, attendi l'abbondanza della pioggia celeste.

Il Padrone di tutto sta dietro il nostro muro; guarda dalla finestra, spia attraverso le inferriate. Se nella sua imperscrutabile provvidenza trattiene per un poco la pioggia, purché ti veda vigile e impegnato, non tarderà ad irrigare con l'abbondanza dei suoi doni il tuo campo e lo rivestirà con i fiori variopinti delle virtù. Allora quella terra, che sembrava sterile e squallida, diverrà lussureggiante di messi e produrrà frutti abbondanti.

  

 

191

 

Dall'Opuscolo sull'osservanza eremitica di San Pier Damiani.

De Institutis Ord. Eremit. Opusc.XV,27. PL 145,359‑360.

 

La perseveranza sulla via che si e scelta

 

         Attieniti, fratello, con perseveranza alla regola di vita che tu hai scelto; osservala con cura gelosa, per non essere in continua contraddizione con te stesso, quasi tu fossi un burattino! Non imitare quello stolto di un Icaro, che ora saliva verso le nubi, ora abbassando le ali toccava rasente il suolo, fino a precipitare nei gorghi abissali del mare.

La serietà della tua vita ti mantenga sempre costante e uniforme negli atteggiamenti. Persevera nell'opera iniziata e mantieni la rotta giusta, giorno dopo giorno. Continui cambiamenti farebbero di te un eterno novizio. Con la fedeltà alla Regola che hai professata, stabilisci la tua esistenza sulle fondamenta della santa perseveranza. La lunga consuetudine ti renderà soave anche tutto ciò che risulta aspro e naturalmente ci fa orrore, fragili come siamo.

Mira a distinguerti sotto ogni profilo unicamente grazie allo splendore delle virtù, come se tu fossi agghindato con la stoffa della santità, la cui trama non conosce le sfilacciature del vizio. Sarebbe ridicolo rivestirti di un bell'abito di porpora, calzare gambali di seta e scarpini dorati, e insieme coprire il capo con un berretto di pelle di montone, che nonostante il resto ti farebbe passare per un mandriano.

Insomma, pur sembrando un novello Antonio a motivo di digiuni rigorosi, di silenzi austeri, di vesti vilissime,

come potrai nello stesso tempo assomigliare a un Democrito attraverso il ridere fatuo e l'indulgere a vuote facezie mondane? Quale accordo tra il tempio di Dio e gli idoli?Quale unione ci può essere tra la luce e le tenebre? Quale intesa fra Cristo e Beliar?Ricordati che un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta.

Il campo della tua anima biondeggi delle messi di sante virtù e non sia invaso da pruni e rovi, per colpa della tua negligenza. Invece, martellato dall'osservanza, squadrato dalla penitenza e dal combattimento spirituale, sarai collocato dal Signore, senza stridori e sfregamenti, tra le pietre scintillanti della Gerusalemme celeste.

 

192

 

Dalla Lettera ai Fratelli di Mont‑Dieu di Guglielmo di Saint‑Thierry.

27,29‑30. Testo latino in La Lettera d'oro, Sansoni, Firenze, 1983, 78‑80.

 

La pietà è la memoria incessante di Dio, quello sforzo continuo dell'attenzione per giungere sino alla conoscenza di lui, lo slancio mai stanco dell'animo verso il suo amore. Non dirò un giorno, ma neanche un'ora che non trovi il servo di Dio dedito alla fatica dell'esercizio spirituale, alla cura di progredire, o calato nella dolcezza dell'esperien­za divina, immerso nella gioia di assaporarla.

Chi tra di voi non possiede nel cuore questa pietà, non la manifesta nella vita, non la esercita in cella, deve esser chiamato non "solitario", ma "solo". La cella è per lui non "cella” ma reclusione e carcere.

È veramente solo colui con il quale Dio è. È veramente un prigioniero, chi non è libero in Dio. Isolamento e reclusio­ne sono nomi di miseria. La cella, invece, non deve mai esser reclusione forzata, ma dimora di pace; la porta chiusa non è nascondiglio, ma ritiro.

Colui con il quale Dio è, non è mai meno solo di quando è solo. Allora egli gode liberamente della propria gioia; allora si possiede completamente per godere di Dio in sé e di sé in Dio. Allora, nella luce della verità, nel sereno di un cuore senza macchia, la coscienza pura si svela in modo spontaneo a se stessa e la memoria afferrata da Dio liberamente si effonde in sé. E ora l'intelletto è illuminato e l'affetto gode del proprio bene; ora l'imperfezione dell'umana fragilità liberamente compiange se stessa.

  

193

 

Dalla Lettera, al Fratelli di Mont‑Dieu di Guglielmo di Saint‑Thierry.

31‑32. Testo latino in La Lettera d'oro, Sansoni, Firenze,1983,80.

 

Secondo la vostra vocazione, abitando nei cieli piuttosto che nelle celle, avete totalmente escluso da voi il secolo, avete rinchiuso tutto voi stessi con Dio.

La cella e il cielo sono dimore affini. Proprio come "cella" e "cielo" hanno una certa parentela nell'assonanza del nome, così anche nella pietà. Sembra infatti che le parole “cielo" e "cella" traggono da "celare" il loro nome. E quello che si "cela" nei cieli, lo si "cela" anche nelle celle: ciò che si fa nei cieli, lo si fa anche in cella. E cosa dunque? Dedicarsi a Dio, godere di Dio.

Quando in cella si attende a questo con amore e fedel­tà, com'è di regola, oso dirlo: i santi angeli di Dio considerano cieli le celle e trovano le loro delizie tanto nelle celle quanto nei cieli.

Quando in cella si ha un continuo dedicarsi ad azioni celesti, cielo e cella si fanno vicini per la somiglianza del mistero, per il medesimo slancio d'amore e per l'analogia dell'opera qui e là effettuata.

Da allora, per lo spirito che prega, e magari per l'anima che esce dal corpo, il cammino dalla cella al cielo non si rivela né lungo né difficile.

Dalla cella spesso si sale al cielo, mentre è raro che dalla cella si scenda all'inferno; questo capiterà soltanto qualora vi si discenda da vivi per paura di scendervi una volta morti, come dice il salmista.

 

194

 

Dalla Lettera ai Fratelli di Mont‑Dieu di Guglielmo di Saint‑Thierry.

35‑40. Testo latino in La Lettera d'oro,Sansoni, Firenze,1983,82.84. 86.

 

Come il tempio è il luogo santo di Dio, cosi lo è la cella per il servo di Dio. E nel tempio e nella cella, ma più di frequente nella cella, hanno luogo i misteri divini.

Nel tempio, in modo visibile e figurativo, di quando in quando sono dispensati i sacramenti della pietà cristiana. Nelle celle invece, come nei cieli, viene celebrata assiduamente la realtà stessa di tutti i sacramenti della nostra fede, con la medesima verità e il medesimo ordine, seppur non ancora con la medesima pura dignità ed eterna sicurezza.

Perciò la cella scaccia ben presto da sé, come un aborto, l'estraneo che non è figlio. Il servo di Dio deve sempre avanzare o venir meno; o tende verso l'alto o viene spinto giù nel baratro.

Da tutti voi si esige la perfezione, anche se in modo diversificato. Se cominci, comincia bene. Se già sei in cam­mino, anche qui va' avanti in modo perfetto.. Se hai raggiunto qualche grado di perfezione, prendi in te stesso la tua propria misura e di' con l'Apostolo: Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. San Paolo soggiunge: Quanti dunque siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti.  L'Apostolo ci insegna cosi, in modo ben chiaro, che l'oblio perfetto di quanto ci è alle spalle è la perfetta tensione verso ciò che ci si offre innanzi, sono in questa vita la perfezione dell'uomo giusto; e la perfezione di questa perfezione si attuerà il giorno in cui potremo conseguire perfettamente il premio della nostra vocazione celeste.

 

 

 

Letture della preghiera notturna dei certosini

[Anno A] [Anno C]

Anno C

 

Tempo Ordinario

 

Quattordicesima Settimana

 

 

 

VANGELO (Lc 5,1-11)

Lasciato tutto, lo seguirono.

 

In quel tempo, mentre, levato in piedi, stava presso il lago di Genesaret e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti.

Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca.

Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca”. Simone rispose: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano.

Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano.

Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore”. Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone.

Gesù disse a Simone: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

 

La chiamata di Dio

Veniamo invitati a seguire Cristo, pur così poveri e fragili come siamo (190), soprattutto col dedicarci alla preghiera e alla purezza del cuore (192). Sta qui l’autenticità della vita monastica (187-191): dopo aver lasciato tutto (189) aderire a Dio (188).

187

Lunedì

 

Dalle “Regole ampie” di san Basilio di Cesarea.

N.5. “Les Règles monastìques”,Maredsous,1969,pp.57-59.

Dobbiamo saper bene questo: non possiamo né osservare un qualsiasi comandamento, né l’amore stesso verso Dio e verso il prossimo, se vaghiamo qua e là con la mente intorno a diversi oggetti. Non è possibile coltivare con cura un’arte o una scienza passando dall’una all’altra; tanto meno si può riuscire in una di esse se non si conosce ciò che è proprio al fine da raggiungere. Bisogna che le azioni siano conformi al loro scopo, dato che nulla di quel che è secondo ragione si attua per mezzo di ciò che non gli è conforme. Poiché, né quanto si prefigge il fabbro può riuscire con i lavori dell’arte ceramica, né le corone degli atleti si possono ottenere con lo zelo nel suonare il flauto: al contrario, per ciascun fine si richiede la fatica adatta e ad essa ordinata.

Così, anche l’ascesi condotta per piacere a Dio secondo il vangelo di Cristo, si attua per noi col prendere una certa distanza dalle cure mondane e con l’estraniarci assolutamente dalle distrazioni affannose.

Bisogna dunque che chi vuole veramente seguire Dio, si sciolga dai vincoli di attaccamenti sregolati alla vita: e questo si attua col separarsi totalmente dai costumi antichi e col dimenticarli. Infatti il carattere della nostra vita sta nel tendere verso un altro mondo, secondo la parola: La nostra patria è nei cieli (Fil 3,20). E Gesù non ha esitato a sentenziare: Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo (Lc 14,33).

Ma, fatto ciò, bisogna custodire con ogni vigilanza il proprio cuore, perché mai avvenga di espellerne il pensiero di Dio, o di inquinare la memoria delle sue meraviglie con fantasmi di cose vane. Invece occorre piuttosto protrarre il pensiero di Dio finché, come indelebile sigillo, si imprima nelle nostre anime mediante il continuo e puro ricordo.

In questo modo si sviluppa in noi l’amore di Dio che incita al compimento dei comandamenti del Signore.

188

Martedì

 

Dalla “Lettera d’oro” di Guglielmo di san Teodorico.

Nn.15-16.17-20.Sansoni, 1983, pp.67-69.71.

Non siate negligenti e non indugiate. E’ lungo il cammino che vi resta da percorrere. Sublime è la vostra professione; attraversa i cieli, è pari agli angeli, è simile alla purezza angelica. Non vi siete votati soltanto ad ogni santità, ma alla perfezione di ogni santità e al colmo di ogni perfezione.

Non è da voi languire nella pratica dei precetti ordinari e neanche applicarvi soltanto a quello che Dio comandi, ma a ciò che egli voglia, nell’attuazione della sua volontà, di ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (Rm 12,2).

Degli altri è servire Dio, è da voi aderire a Lui.

Degli altri è credere in Dio, conoscerlo, amarlo e venerarlo. E’ da voi il gustarlo, il comprenderlo, l’apprenderlo, il goderne. Questo è grande, questo è arduo. Ma onnipotente e buono è chi in noi, è pietoso garante, remuneratore fedele, aiuto instancabile. A chi, per grande amore per lui, s’impegna in grandi promesse e nella fede e nella speranza della sua grazia, intraprende qualcosa che è superiore alle sue forze, Dio infonde al momento giusto e la volontà e il desiderio verso quello stesso fine. E a chi usa dispensare in anticipo la grazia della volontà, Dio usa aggiungervi anche la capacità di riuscire.

Però fratelli, allontanate dal giudizio della vostra coscienza, dalla vostra piccolezza, dal vostro linguaggio, ogni orgoglio, perché il gusto delle vette è mortale. Non voglio, servo di Dio, che tu creda che il sole, luminoso per tutti, non porti il giorno se non nella tua cella; che non vi è tempo sereno altro che dove tu sei; che la grazia di Dio non operi da nessuna parte se non nella tua cella. Dio sarebbe forse solo il Dio dei solitari? No: è il Dio di tutti gli uomini.

189

Mercoledì

 

Dalla “Scala del Paradiso” di san Giovanni Climaco.

1° grado,35.16.46. Op. cit. pp.39.35.42.

Se un re della terra ci convocasse per arruolarci al suo servizio, non indugeremmo, non accamperemmo scuse; immediatamente, lasciando tutto, andremmo da lui come a tambur battente. Perciò cerchiamo di essere attenti quando il Re dei re, il Signore dei signori, il Dio unico, ci chiama al suo celeste servizio, in modo da non sottrarci all’invito per pigrizia o fannullaggine: finiremmo col trovarci inescusabili dinanzi al gran tribunale.

Tutti coloro che hanno abbandonato di propria volontà i beni di questa vita l’hanno fatto certamente in vista del Regno o a causa dei loro molti peccati oppure per amor di Dio; se nessuno di questi motivi li spinse, il loro ritrarsi dal mondo fu scriteriato.

Ma, comunque sia, l’eccellente Arbitro dei nostri combattimenti tiene conto soltanto dello sbocco a cui approderà la nostra corsa.

Qual è dunque il monaco fedele e prudente? Colui che ha conservato il fervore, senza cedimenti e che fino al termine della vita non ha smesso, giorno dopo giorno di aggiungere fuoco su fuoco, fervore su fervore, desiderio su desiderio e zelo su zelo.

190

Giovedì

 

Dagli “Insegnamenti” di Giovanni Carpazio.

FG 1°  411 412. 414.

Il Signore ti dice come a Matteo: Seguimi (Mt 9,9). Tu dunque, seguendo con prontezza il tuo desideratissimo Sovrano, anche se lungo la strada della vita inciampi con il piede nella pietra di una passione, e cadi improvvisamente in peccato, oppure se molte volte trovandoti in luoghi melmosi, senza volere scivoli e finisci col cadere, non scoraggiarti! Quante volte ti possa succedere di cadere e così di farti male, altrettante volte rialzati con la stessa prontezza e segui il tuo Signore, finché tu non l’abbia raggiunto.

Così, Signore, nella santa riflessione apparirò a te, per vedere la tua potenza e la gloria che mi salvano, e nel tuo nome solleverò le mie mani e comprenderò; e penserò di riempirmi di adipe e di grasso, e si rallegreranno le mie labbra salmeggiando a te (cf Sal 62,3-5). E’ infatti per me cosa grande avere nome di cristiano, come mi dice il Signore per mezzo di Isaia: E’ cosa grande per te essere chiamato mio servo (cf Is 49,6 Volgata).

Dunque, se vogliamo realmente piacere a Dio e accattivarci il beatissimo amore, presentiamo a Dio spoglio il nostro intelletto; non tiriamo dietro ad esso nulla che appartenga a questo mondo, né arte, né concetto, né sofisma, né difesa, anche se siamo molto istruiti nella sapienza terrena. La Divinità rifugge da quelli che le si accostano con presunzione nutrendosi di vanagloria. Seguiamo il Signore poveri e nudi.

191

Venerdì

 

Dai “Detti” dei Padri dei deserto.

Pambo,8. Serie anonima, n.117; Detti abbreviati, n.30; Bellefontaine,pp.258s.,259, 364,407.

Si racconta che l’abate Pambo, nell’ora della sua morte, dicesse ai fratelli: Da quando sono arrivato in questo deserto, e mi sono costruito una cella e l’ho abitata, non ricordo d’aver mangiato del pane senza averlo guadagnato con le mie mani, né, sino ad ora, d’aver rimpianto una parola detta. Ed ecco che tuttavia mi presento al Signore come se non avessi mai neppure cominciato a seguirlo servendolo.

Fu domandato a un anziano: Quale è la via stretta e scoscesa? Egli rispose: La strada stretta è questo: far violenza ai propri pensieri e abnegare la volontà propria; questo appunto significa: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito (Mt 19,27).

Un anziano disse: E’ vergognoso per un monaco aver rinunziato a ciò che gli apparteneva, essersi fatto straniero per amore di Dio, e andare in seguito alla condanna.

192

Sabato

 

Dai “Capitoli” di Teodoro di Edessa.

Nn.91.92.94 FG1°,460.

 

L’uomo non trova riposo se non procura di avere nell’intimo il pensiero che al mondo non ci sia altri che Dio e lui soli, in modo che il suo intelletto non erri assolutamente dietro a nulla, ma Dio solo desideri, a lui solo aderisca. Chi è così troverà la vera quiete e la vera libertà dalla tirannide delle passioni. E’ detto perciò: A te si stringe l’anima mia e la forza della tua destra mi sostiene (Sal 62,9).

L’amor proprio, l’amore al piacere e alla gloria scacciano dall’anima il ricordo di Dio. L’amor proprio è produttore di mali enormi: e quando poi il ricordo di Dio viene meno, trova spazio in noi il tumulto delle passioni. Quando uno ama qualcosa, con questo certo desidera ardentemente stare di continuo, senza posa, e rifugge da tutto ciò che gli impedisce di avere facile accesso alla cosa amata e di vivere con essa. E’ dunque evidente che anche chi ama Dio è bramoso di incontrarlo continuamente e di conversare con lui. Questo ci viene tramite la preghiera pura. Di essa dunque bisogna che ci diamo cura con tutte le forze. Per sua natura, infatti, la preghiera ci rende familiari al Sovrano. Tale era colui che diceva: O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia (Sal 62,1). Si volge a Dio fin dal mattino chi allontana l’intelletto da ogni malizia ed è ferito direttamente dalla passione per Dio.

 

Send this page to a friend -
 
Manda questa pagina ad un amico