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Letture della preghiera notturna dei certosini

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 Anno A

 

Tempo Ordinario

 

Tredicesima Settimana

 

 

183

 

Dal "Discorso sulla sobrietà e la virtù" di Esichio Sinaita.

De temperantia et vjrtute, I,46.73‑74. PG 93,1525.1536.

 

Appare duro e difficile agli uomini conservare nell'anima l'esichia, cioè il silenzio da ogni pensiero. E in verità è laborioso e faticoso. Infatti, rinchiudere e costringere ciò che è incorporeo nell'abitazione del corpo non affatica solo i profani del combattimento, ma anche gli esperti della lotta interiore e spirituale.

Colui però che ha stretto sul suo cuore il Signore Gesù attraverso la preghiera continua, non faticherà a seguirlo, secondo il profeta, e uno che sia tale non desidererà un giorno di uomo, a causa della bellezza, della soavità e della dolcezza di Gesù. Egli non arrossirà davanti ai suoi nemici, agli empi demoni che girano attorno, mentre parla con essi alla porta del cuore; e li insegue alle spalle, per mezzo di Gesù Cristo.

Con la preghiera continua il cielo della mente si conserva puro dalle nubi tenebrose, dai venti degli spiriti del male. E quando il cielo del cuore si conserva puro, non è possibile che non si accenda in esso la divina luce di Gesù. Se invece siamo gonfi di vanagloria, di alterigia, di ostentazione, tentiamo di sollevarci verso ciò che è irraggiungibile e ci troviamo senza soccorso da parte di Gesù. Perché Cristo, esempio di umiltà, odia tali cose.

Teniamoci stretti dunque a preghiera e umiltà, queste due cose che insieme con la sobrietà combattono contro i demoni come una spada di fiamma. Se vivremo così, capaci di serenità, ogni giorno e ogni ora potremo celebrare una festa nel mistero del cuore.

 

                                                            184

 

Dal “Discorso sulla sobrietà e la virtù” di Esichio Sinaita.

De temperantia et virtute, II,94.97.99. PG 93,1541.1544.

 

Veramente beato colui che si è così congiunto nella mente alla preghiera di Gesù e lo invoca senza interruzione nel cuore, come l'aria è unita ai nostri corpi o come la fiamma alla cera. E il sole passando sopra la terra farà giorno, ma il santo e adorabile nome del Signore Gesù, risplendendo di continuo nella mente genererà innumerevoli pensieri fulgidi, come il sole.

Vieni, ormai, e seguimi verso quest'unione prodotta dalla beata sorveglianza dell'intelletto, chiunque tu sia che brami nello spirito di vedere giorni buoni; nel Signore ti insegnerò l'agire visibile e la vita delle potenze intelligenti. Infatti gli angeli non si sazieranno mai di inneggiare al Creatore, e neppure l'intelletto che gareggia con purezza con essi.

Le potenze celesti non si preoccupano di ricchezze e di denaro; così neppure coloro che purificano la vista dell'anima ed hanno acquisito l'abito della virtù non si preoccupano della malizia di spiriti maligni.

E come negli angeli è evidente la ricchezza del loro progresso in Dio, così nei giusti è manifesto il desiderio intenso verso Dio e la carità lo sguardo fisso e l'ascesa alla divinità. Ma ancora amorosamente e insaziabilmente protesi all'ascesa per aver gustato l'amore divino e per il desiderio estatico, non si fermeranno finché non giungano fino ai serafini; né cesseranno dalla sobrietà dell'intelletto e dall'esaltazione amorosa, finché non divengano angeli in Cristo Gesù Signore nostro.

 

185

 

Dall’Opuscolo sull’osservanza eremitica di San Pier Damiani.

De Institutis Ord. Eremit. Opusc. XV, 1. PL 145,336.

 

Elogio alla vita solitaria

 

Fratello, hai fatto una scelta lodevolissima quando per ritornare a Dio, invece d’imboccare una strada qualunque, hai preso la via legale. A questo passo non ti ha indotto la prudenza umana, ma senz’altro lo Spirito di Dio ti ha sospinto su questa via altissima, che si rivela il più  nobile  di tutti gli itinerari orientati alle vette.

Mentre lo percorri, già ti ritrovi in patria; stai ancora faticando e penando, eppure in un certo senso già godi  il conforto del riposo.

Chi cammina per questa via non è un punto dalle spine delle preoccupazione , né  affonda nella melma  di equivoche attività profane.

Questa via è stretta e spaziosa ad un tempo: non troppo angusta per cui   chi la percorre spinto da desideri di cielo incespichi, facendosi male. E neppure è troppo vasta,  così da far perdere la direzione giusta.

Chi inizia può spesso trovarla malagevole e  difficile, ma purché – Dio non voglia -  non perda la fede, ben presto l’incostanza e la pusillanimità scompaiono. Chi invece ha già una certa pratica più o meno grande della perfezione, trova che la vocazione eremitica è un cammino agevole  e spazioso. A una condizione, tuttavia: non deve desistere dal portare la croce alle sequela di Gesù, reprimendo la volontà propria e sconfiggendo sentimenti e pensieri tentatori.

 

 

186

 

Dall’Opuscolo sull’osservanza eremitica di San Pier Damiani.

De Institutis Ord. Eremit. Opusc. XV, 4. PL 145, 338.339.

 

Come bisogna lottare contro le tentazioni

 

Chiunque entra in una cella solitaria, si accinge a lottare contro il demonio e affronta la lotta spirituale, spinto dall’audacia del suo cuore ardente.

Deve perciò dirigere tutto il suo impegno a non sentire più l’attrattiva dei sensi, per vivere come morto a se stesso e al mondo. Cinga l’armatura spirituale delle virtù più diverse e si prefigge mete ardue e faticose. Così le prove della vita non lo coglieranno alla sprovvista riuscendo ad abbatterlo, ma egli avrà la forza d’animo per sopportare ogni tempesta.

Il fiume, quando esce, è un esiguo filo d’acqua; poi, in un lungo decorso, la sua portata si accresce grazie agli affluenti. Allo stesso modo il nostro uomo interiore, quando comincia il cammino spirituale, è come un sottile lama d’acqua, quasi prosciugata; a poco a poco, però, le virtù lo incrementano come ruscelli che confluiscono da ogni lato.

Quando una fitta gragnola di colpi gli piomba addosso e violente battaglie si scatenano contro lui, il soldato di Cristo non deve cingere lo scudo di una fede invincibile e quanto più aspri sono gli assalti dell’avversario, tanto più deve aver fiducia nell’aiuto del Signore. Non abbia il minimo dubbio: se uscirà indenne dai tentacoli delle prime tentazioni, ben presto acquisterà forza e, da valoroso, avrà la meglio sui suoi avversari debellati e costretti alla fuga.

 

 

187

 

Dall’Opuscolo sull’osservanza eremitica di San Pier Damiani.

De Institutis Ord. Eremit. Opusc. XV, 5. 13.  PL 145,339-340.345.

 

Le tre connotazioni essenziali della vita eremitica:

quiete, silenzio, digiuno.

 

Chiunque è proteso verso le realtà eterne, deve possedere il corredo intero delle virtù. Tuttavia, tre disposizioni esteriori, più d’ogni altra, possono aiutare l’eremita a perseverare nella sua vocazione: la quiete, il silenzio e il digiuno.

Gli altri esercizi virtuosi servono più che altro per il dono di sé e l’osservanza abituale del bene. Invece quiete, silenzio, digiuno devono costituire la pratica diuturna e sollecita del solitario.

Se al sacerdote compete consacrarsi alla celebrazione del santo sacrificio e la predicazione spetta a chi ha il compito dell’evangelizzazione, lo specifico del solitario consiste in una vita quieta, silenziosa e austera. Sarà utile ricordare un detto degli antichi maestri della vita eremitica: “Sta’ in cella, frena la lingua e sarai salvo”.

La lingua va dominata, perché se la si lascia senza disciplina, svuota l’animo di tutta la forza della grazia e logora il suo vigore nativo. C’è però da usare moderazione e discernimento in questo campo: altrimenti succederà di non sapere assumere quanto è a nostra portata e di desistere per pusillanimità, come se l’osservanza fosse un peso insopportabile.

Regolati anche tu così nella pratica, secondo le forze che ti avrà concesso il donatore delle grazie celesti. Sarà il metodo migliore per sapere di quanto ti sia necessario allentare lo sforzo ascetico oppure, per grazia di Dio, di quanto tu possa accrescerlo.

  

188

 

Dall’Opuscolo sull’osservanza eremitica di San Pier Damiani.

De Institutis Ord. Eremit. Opusc. XV, 19. PL 145,352.

 

 

Come combattere i pensieri vani e nocivi.

 

Innanzi tutto, figliolo mio, chiunque tu sia che ti prepari ad affrontare il nemico invisibile, sforzati con una cura attentissima di difendere la tua mente dalle suggestioni importune.

Come butti nel fuoco le scorie e i rifiuti dei tuoi lavori manuali, così getta in Dio il turbamento dei tuoi pensieri. Poiché egli è un fuoco divoratore, affidagli la cura di bruciare la vanità del tuo cuore, rammentandoti la parola dell’Apostolo che raccomanda di gettare in Dio ogni preoccupazione, poiché egli ha cura di noi, e anche il detto del profeta: Getta sul Signore il tuo affanno ed egli ti darà sostegno.

Se combatti generosamente, comunque vada, riporterai vittoria: infatti o resisterai alle suggestioni cattive ed esse non potranno penetrare in te, oppure, se già ti abitano dentro, farai presto a cacciarle. Tuttavia è più facile infrangere l’assalto del nemico sulla soglia che respingerlo quando ha già invaso l’abitazione.

Considera la tentazione come un serpente. Se lo scacci quando è ancora davanti alla porta, tutto resta intatto, in casa nulla è inquinato o corrotto. Ma se la serpe già è strisciata dentro, nonostante i tuoi sforzi vigorosi per espellerla, qualcosa del veleno o elle scaglie, per poco che sia, ti rimarrà dentro.

Perciò mantieniti continuamente all’erta, con l’arma in pugno; appena la tentazione si presenta, scagliati contro e  spezza i minimi moti dei pensieri nascenti contro la pietra che è Cristo. Credi, Figliolo, a colui che tante volt esperimentò queste cose.

 

 

 

Letture della preghiera notturna dei certosini

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Anno C

 

Tempo Ordinario

 

Tredicesima Settimana

 

 

VANGELO (Lc 6,36-38)

Perdonate e vi sarà perdonato.

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro.

Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio”.

Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’e due in una buca? Il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro.

Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, mentre tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello”.

 

Siate misericordiosi! L’amore ci rende figli di Dio (182), quell’amore che tollera l’ingiustizia e vi risponde con il perdono (183,184,185). Attraverso il fratello, Dio stesso ha bisogno della nostra misericordia (187) e talvolta la migliore compassione verso il peccatore è l’amore che noi stessi offriamo a Dio (186).

181

Lunedì

 

Dal trattato “Sul secondo comandamento” di Pietro Damasceno.

FG 3°,77-78

E’ misericordioso chi fa misericordia al suo prossimo con le cose che ha ricevuto da Dio: ricchezze, cibo, forza, parola capace di giovare, preghiera, capacità di aver compassione di chi gli chiede qualcosa, considerandosi debitore, perché ha ricevuto più di quanto gli vien richiesto. Costui ha ottenuto di essere chiamato, come Dio, misericordioso, e ciò da parte di Cristo, adesso e nel secolo futuro, davanti a tutta la creazione. Tramite il fratello è Dio stesso che ha bisogno di lui e diviene suo debitore. Senza ciò che chiede a lui, il povero può vivere, ma lui, se non fa misericordia secondo le sue possibilità, non può né vivere né salvarsi: se non vuole aver compassione della propria natura, come può pregare Dio di aver compassione di lui?

Così, pensando anche molte altre cose, chi è stato fatto degno dei comandamenti dà non solo le sue cose, ma perfino la vita per il prossimo. Questa è infatti la perfetta misericordia, come quella di Cristo che per noi ha sopportato la morte, ponendosi come modello e tipo per tutti, affinché moriamo gli uni per gli altri; non solo per gli amici, ma anche per i nemici, quando l’occasione lo esiga.

Non è necessario avere qualche cosa per fare realmente misericordia: ciò sarebbe piuttosto una grande debolezza. Bisogna anzi, che, non avendo proprio nulla con cui far misericordia, ognuno apra il cuore verso tutti.

182

Martedì

 

Dalle “Centurie sulla carità” di san Massimo il confessore.

N.4,18. S Ch 9,156ss.

La carità è paziente, è benigna la carità (1Cor 13,4). Perciò scoraggiarsi per i guai che càpitano, stizzirsi con coloro che ne sono la causa, togliere ad essi il proprio amore, non è forse sottrarsi alla volontà di Dio che è provvido? Vigila su te stesso per paura che il male che ti separa dal fratello risulti presente, anziché nel fratello, nel tuo cuore. Corri a riconciliarti con lui, per tema di mancare al comandamento dell’amore fraterno. Guàrdati bene dal trascurare questo comandamento; esso farà di te un figlio di Dio, ma se lo violi, diventi figlio dell’inferno.

Invidiare o essere invidiati, causare un danno o riceverlo, offendere o essere offesi, ostinarsi in un sospetto, tutto ciò ostacola l’amore tra gli amici. Un tuo fratello è forse stato per te occasione di una prova e hai sentito tanta tristezza da arrivare all’odio? Non lasciarti vincere dall’odio, ma vinci l’odio con l’amore. In concreto, prega sinceramente per lui, accetta che venga scusato, fatti suo difensore, prendi su te stesso la responsabilità della sua prova e sopporta con coraggio la situazione, finché le nubi non siano dissipate.

183

Mercoledi

 

Dai “Discorsi ascetici” di Isacco di Ninive.

Disc.23. Op.cit. pp.152-153.

La misericordia che si limita alla giustizia non è affatto misericordia. L’autentico misericordioso non è pago di far la carità con ciò che è suo; lieto sopporta l’ingiustizia da parte degli altri e vi risponde con il perdono. Tuttavia, poiché ha vinto la giustizia con la sua misericordia, ad ornargli la fronte non è la corona dei giusti secondo la legge; egli invece riceve il trofeo dei perfetti secondo il vangelo. Distribuire elemosine ai poveri mediante ciò che si possiede, vestire chi è ignudo, amare il prossimo come sé stesso, non offenderlo mai, evitare la menzogna: ecco i comandamenti del Vecchio Testamento. Ascolta ora quello della perfezione evangelica: Dà a chiunque ti chiede, e a chi prende del tuo, non richiederlo (Lc 6,30). Bisogna accettare con gioia di vedersi privati di ogni oggetto, di ogni cosa materiale, anzi, ben di più, di essere chiamati a sacrificare la vita per i fratelli. Costui è il misericordioso, ben diverso da quello che si limita a dare un’elemosina all’altro. Sta’ ancora a sentire: misericordioso è l’uomo che vedendo o ascoltando l’afflizione del fratello, vi compatisce dal fondo del cuore . O anche colui che, colpito dal fratello, non avrà l’impudenza di rispondere all’oltraggio, ma eviterà di affliggere l’altro.

184

Giovedì

 

Dalle “Istituzioni” di san Giovanni Cassiano.

FG l°,141-142.

Noi ci serviamo dell’ira secondo natura soltanto quando la muoviamo contro i pensieri passionali e voluttuosi. E’ così che ci insegna il profeta quando dice: Irritatevi e non peccate, (cf Sal 4,4), cioè muovetevi ad ira contro le vostre passioni e contro i pensieri cattivi, e non peccate col portare a compimento ciò che essi vi suggeriscono. Anche il beato Paolo parla in questa linea quando dice: Non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo (Ef 4,26ss.). Fate cioè in modo che il sole di giustizia, Cristo, non tramonti nei vostri cuori, per averlo voi mosso a sdegno con il consenso dato ai pensieri malvagi. E non accada che, allontanandosi lui, trovi posto in voi il maligno.

Che diremo dunque? Certuni, per l’asprezza e la follia di questo stato passionale, conservano l’ira non solo fino al tramonto, ma anzi la protraggono anche per più giorni, e pur tacendo l’uno con l’altro, e non giungendo ancora a esprimerla a parole, alimentano tuttavia a propria rovina il veleno del rancore con il loro silenzio. Ignorano come non solo ci si debba trattenere dall’ira che si manifesta negli atti, ma anche da quella che appare nel pensiero; perché non accada che l’intelletto, oscurato dalla tenebra del rancore, decada dalla luce della conoscenza e del discernimento e sia privo dell’inabitazione dello Spirito Santo.

185

Venerdì

 

Dai “Discorsi” di Isaia abate.

Logos 18. Solesmes,1970, p.153.

Perdonate, perchè anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati (Mc 11,26). Spaventosa è questa parola del Signore: se vedi che il tuo cuore non è puro verso tutti, non chiedere nulla a Dio. Lo ingiurieresti, perché peccatore come sei e pieno di risentimento verso un tuo simile, osi dire a colui che scruta i cuori: Perdonami i peccati. Un uomo siffatto non prega in spirito, ma soltanto col labbro, da ignorante; infatti chi vuole pregare sul serio Dio in spirito, nello Spirito Santo e con cuore puro, esamini i suoi sentimenti prima dell’orazione per sapere se è senza ostilità verso chiunque, oppure no. E se non lo è, si illude, dato che colui che lo ascoltasse non sarebbe presente dal momento che lo spirito non prega, ma si tratta soltanto di ore canoniche sbrigate via in modo meccanico.

Chi vuole pregare con purezza, esamini anzitutto lo stato del suo cuore, in modo che se dici: Pietà di me, anche tu sappia aver pietà di chi ti supplica. Se dici: Perdonami, anche tu, misero come sei, perdona.

 

186

Sabato

 

Dalle “Lettere” di Hadewijch di Anversa.

Lett.VI. “Lettres spirituelles”, Martingay,1972, Génève, pp.84ss.

 

Il tuo zelo e la tua virtù, rinnovati continuamente, possano oltrepassare ogni cosa. Se vedi un uomo povero di amore, che volentieri desidera uscire dalle sue angustie e perciò si tormenta, sii buono con lui; per quanto dipende da te, spenditi per venirgli in aiuto. Prodiga il tuo cuore in misericordia, le tue parole in consolazioni, le tue membra al suo servizio.

In genere, sii pieno di compassione verso i peccatori, pregando molto per loro; però, guardati dall’esigere dal Signore che vengano tratti fuori dal loro stato grazie alle tue preghiere. Non star a perdere il tempo in queste pratiche, che portano pochissimo frutto.

Invece sostieni con l’amore quelli che sono già entro la sfera diretta dell’amore di Dio, in modo che essi si rafforzino nel bene e che l’Amato divino sia amato sempre di più. Ecco ciò che è valido, e nulla d’altro. Né sforzi, né preghiere servono ai peccatori, stranieri e lontani da Dio. Ma soltanto giova loro l’amore che noi stessi diamo a Dio. E quanto più l’amore sarà forte, più numerosi saranno i peccatori tratti fuori dal loro stato, e altrettanto più salda la sicurezza data a quelli che amano.

Quindi, in ogni cosa sii pieno di compassione; questo per te è un dovere urgente. E poi volgiti con volontà retta verso la Verità suprema; intendi cioè di non volere né cosa né gioia in cielo o in terra, nell’anima o nel corpo, se non quello che ci vota all’amore e al beneplacito di Dio.

 

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