La Vita dei padri

 
   

 

Il padre certosino conduce una vita essenzialmente solitaria, giacché nei giorni ordinari non esce dalla cella che per recarsi in chiesa, e per tutto il resto del tempo è solo.

Tuttavia questa vita solitaria non è una vita d’isolamento egoista che porterebbe facilmente ad uno spirito d’indipendenza che negherebbe la nozione stessa di vita monastica. Il certosino ha fatto solenne voto di obbedienza; tutta la sua vita, anche quando è solo, deve essere segnata, perché, nella fede, è a Dio stesso che vuole sottomettersi quando si lascia umilmente guidare dagli Statuti e dalla parola suo priore.

“Ad esempio di Gesù Cristo che è venuto per fare la volontà del Padre e che, assumendo la condizione di servo, imparò l’obbedienza dalle cose che patì, il monaco con la professione si sottomette al priore, che rappresenta Dio, e si sforza di conseguire la misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Statuti 1.3.5)

La parte di vita comunitaria

Il certosino non è un eremita puro. La vita strettamente eremitica, piena di difficoltà e di pericoli, non può essere che di un numero di anime molto ristretto. San Bruno ha saputo inventare un modo di vita che usufruisce dei vantaggi della vita eremitica e di quella cenobitica.

Sant’Ugo si è sentito attratto all’Ordine certosino da questa vita  saggiamente composta di solitudine e vita fraterna: «Ugo era affascinato dal quadro di vita offerto in Certosa per attendere a Dio solo: come ausilio potente a questa divina attività c’era una gran ricchezza di libri, abbinata a copiosa possibilità di lettura e all’indisturbata quiete per l’orazione. 

Ma più che la disposizione del monastero, attiravano i monaci: il loro corpo austero, la mente serena, il cuore libero, la letizia del volto e la purezza del dire. La regola invitava i monaci alla solitudine, ma non all’eccentricità; le celle erano separate, i cuori uniti. Ognuno abitava da solo, senza possedere nulla in proprio e nulla facendo per spirito d’indipendenza. Pur restando in solitudine, tutti costituivano una comunità: vivendo da solitario, ogni monaco non inciampava negli svantaggi del contesto sociale, benché una certa vita comune gli garantisse il conforto dei fratelli. Questi e altri aspetti piacevano a Ugo, ma soprattutto egli apprezzava il sicuro baluardo dell’obbedienza (senza di cui molti eremiti sono lasciati a sé stessi, esposti a eccessivi pericoli); perciò quella vita lo seduceva, anzi lo estasiava».

Durante la settimana i padri si radunano tre volte al giorno in chiesa: per il Mattutino, per la messa conventuale e per i Vespri (come si dirà più avanti). Le domeniche, e i giorni di festa di una certa importanza, cantano in coro tutto l’ufficio (eccetto Prima e Compieta), prendono il pasto di mezzogiorno in refettorio e hanno una ricreazione nel pomeriggio, tra Nona e Vespri. Infine escono in spaziamento una volta la settimana.

 

Il refettorio  

Le cerimonie osservate in refettorio sono molto antiche: sono già registrate negli Statuti del 1271.

In refettorio non si parla mai. Durante il pasto un monaco fa una lettura dal pulpito. Si legge soprattutto la Sacra Scrittura, continuando così la lettura fatta nell’ufficio di notte in chiesa. Si leggono anche gli Statuti, opere relative alla festa del giorno, o altre letture utili alla vita spirituale, a giudizio del priore.  

 

Lo spaziamento  

La passeggiata settimanale, durante la quale si può parlare liberamente, si chiama per tradizione spaziamento. Ha luogo il primo giorno libero della settimana, normalmente il lunedì, se il tempo lo permette e se nessuna festa importante lo impedisce. Dura tre o quattro ore. Si cammina abitualmente a due a due, per permettere un colloquio più personale. Di tanto in tanto ci si ferma per cambiare i gruppi.

La Carta del Capitolo Generale del 1261 menziona espressamente lo spaziamento e un passo degli Antiqua Statuta ci informa che c’erano degli spaziamenti già a quell’epoca. San Bruno stesso, descrivendo al suo amico Rodolfo il Verde la nostra regione, scriveva: “Chi descriverà in modo consono l’aspetto delle colline che dolcemente si vanno innalzando da tutte le parti, il recesso delle ombrose valli, con la piacevole ricchezza di fiumi, di ruscelli e di sorgenti? […] l’animo, troppo debole e affaticato da una disciplina troppo rigida e dalle applicazioni spirituali, molto spesso con queste cose si risolleva e respira. Se, infatti, l’arco è continuamente teso, si allenta e diviene meno atto al suo compito” (Lettera a Rodolfo, 4-5).

 
 

 

Nella cella

Due stanze compongono l’abitazione propriamente detta. Nella prima vi è un’immagine della Santa Vergine, davanti alla quale il monaco recita un’Ave Maria quando entra in cella; da ciò è derivato il nome di Ave Maria dato a questa stanza.

La stanza principale della cella, o cubiculum, è dove si abita di preferenza. Contiene l’oratorio, formato da uno stallo e da un inginocchiatoio, dove il monaco recita parte dei suoi uffici, seguendo le stesse cerimonie prescritte in chiesa. Al suono della campana il monastero diventa una grande chiesa: i monaci sono ai loro stalli e, benché separati, innalzano contemporaneamente verso il cielo le loro lodi e le loro preghiere. Sull’oratorio i solitari pongono un crocifisso e delle immagini della Vergine Maria e dei loro santi preferiti.

Vicino all’oratorio c’è una piccola alcova in legno con un semplice letto. Inserito nel vano della finestra c’è un tavolino con una piccola credenza, dove i padri prendono i pasti che ricevono attraverso un piccolo sportello posto a fianco della porta d’ingresso sul chiostro. Sembra, dice un autore certosino, che il corvo, che un tempo portò ogni giorno un pane a San Paolo eremita per comando di Dio, venga ancora oggi al nostro sportello per compiere la stessa funzione.

Per il freddo invernale c’è una stufa a legna che il padre alimenta tagliando a pezzi i tronchi accatastati nella sua legnaia.

 

 

La giornata  

La giornata del monaco è sempre uguale per tutto l’anno. Questa uniformità può sembrare austera, ma libera l’anima da molte preoccupazioni per permetterle di meglio fissarsi sull’essenziale. Il monaco impara così a vivere al ritmo lento delle stagioni e dei tempi liturgici. Qui di seguito indichiamo approssimativamente lo schema degli orari, che possono avere piccole variazioni nelle varie Certose.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  Levata notturna verso mezzanotte 
  In cella Mattutino della Madonna e preghiera personale
  In chiesa Mattutino e Lodi
  In cella Lodi della Madonna e riposo

 

 

 7.00

 

Ora Prima

 

 

 

 

 

Lectio

 

 

 

8.00

 

Messa conventuale in chiesa

 

 

 

9.00

 

Terza

 

 

 

 

 

Studio o lavoro manuale

 

 

 

12.00

 

Sesta

 

 

 

 

 

Pasto – tempo libero

 

 

 

13.45

 

Nona

 

 

 

 

 

Studio o lavoro manuale

 

 

 

16.45

 

Vespri della Madonna

 

 

 

17.00

 

Vespri in chiesa

 

 

 

   

Pasto della sera
Lettura, preghiera

 

 

 

19.00

 

Compieta
Riposo

 

 

Varietà  

Questo orario non deve ingannare: la sua rigidità è solo apparente. All’interno di questo quadro la vita del certosino può assumere stili assai differenti.

Così, per esempio, non vi è indicato l’orario della messa che ogni sacerdote celebra in solitudine, benché sia un momento forte della giornata. In realtà è possibile celebrarla sia prima sia dopo la messa conventuale, o anche dopo i Vespri.

La stessa varietà si riscontra in diversi ambiti: chi fa orazione o lectio divina alla sera, chi al mattino, secondo il momento che per lui è più favorevole alla preghiera. Uno dedica più tempo al lavoro intellettuale che a quello manuale, un altro fa il contrario. Con l’approvazione del priore altri particolari possono essere variati nell’orario quotidiano.

Anche la vita interiore offre una grande varietà; per questo non si può parlare di «spiritualità certosina». Ci sono più differenze nelle anime che nei volti, e Dio non parla a tutti nello stesso modo. La libertà della vita solitaria permette a ciascuno di modellare la sua relazione con Dio secondo quanto gli suggerisce un attento ascolto dello Spirito.

In tutti questi settori, tuttavia, l’obbedienza deve restare la guida del solitario, se non vuole correre il rischio di smarrirsi diventando schiavo del suo amor proprio.

Detto questo, si può ugualmente dare qualche precisazione sulle principali attività della cella, specialmente sullo studio e sul lavoro manuale.

Lo studio  

Nell’Ordine lo studio è sempre stato stimato, senza tuttavia essere l’occupazione prima del certosino. Il Capitolo Generale ha dato a questo riguardo eccellenti direttive raccomandando gli studi convenienti alla vocazione certosina: Sacra Scrittura, teologia, spiritualità. Il monaco, dice il Capitolo, deve amare la teologia, applicarsi allo studio delle scienze sacre, per poter più facilmente tendere alla contemplazione. Si attingerà dunque alle sorgenti d’acqua viva una scienza che non sia orgogliosa, che eviti la ricerca, si guardi dalle novità e dall’ipercritica, e conservi la semplicità. Bisogna studiare, dicono gli Statuti, «non per smania di imparare o di pubblicare libri, ma perché la lettura, sapientemente regolata, dà una formazione più solida all'anima ed offre il fondamento alla contemplazione delle realtà celesti. Infatti, sbagliano coloro che credono di potersi facilmente innalzare ad un'intima unione con Dio se hanno trascurato in antecedenza lo studio della sua Parola o se la hanno abbandonato in seguito. Perciò, più attenti alla sostanza del pensiero che alla spuma delle parole, dobbiamo scrutare i divini misteri con quel desiderio di conoscere che nasce dall'amore e l'amore accende».

Dionigi il certosino scriveva negli ultimi anni della sua vita: «Di tutto cuore ringrazio Dio di essere entrato così giovane in religione, a ventuno anni. E ora, per grazia di Dio, ho passato quarantasei anni nell’Ordine. In tutto questo tempo mi sono applicato assiduamente allo studio. Non ho coscienza di aver studiato per vanità, o per un fine meschino come il desiderio di fama o di vantaggio personale; ma al contrario perché, lavorando ogni giorno sulle Sacre Scritture, potessi vivere secondo il loro insegnamento e giungere alla vera umiltà, alla dolcezza, alla pazienza di cui ho tanto bisogno».  

Il lavoro  

Il lavoro manuale procura al padre la distensione fisica necessaria alla salute e lo rende più idoneo ai suoi doveri spirituali. È anche una maniera per partecipare umilmente alla condizione umana, proprio come Cristo che ha lavorato a Nazaret sotto lo sguardo del Padre per lunghi anni. Come lui, il certosino si sforza di non interrompere la preghiera quando lavora e di «ricorrere sempre almeno a brevi orazioni giaculatorie. Talvolta può anche accadere che il peso del lavoro si debba porre come un’ancora all'agitarsi dei pensieri, così che il cuore può rimanere continuamente fisso in Dio, senza che la mente si stanchi».

I monaci lavorano solitari nella cella. Il loro lavoro, che deve essere veramente utile, può consistere in occupazioni molto diverse. Per tutti, tenere in ordine la cella e il giardino, e tagliare la legna per l’inverno. Per i padri che hanno una mansione (sacrista, archivista, bibliotecario), il lavoro che gli compete. Infine, secondo le capacità di ciascuno, diversi lavori di artigianato: rilegatura, falegnameria, scultura in legno, smalti, miniature, pittura d’icone, orologeria e riparazione varie, ecc…

 

La vita di preghiera  

Se il monaco del chiostro ricerca la solitudine della cella, è solo per cercarvi Dio. La cella è per lui il porto sicuro deve regnano la pace, il silenzio e la gioia, dove «più ardentemente cerchiamo Dio stesso nel nostro uomo interiore, più prontamente lo troviamo e più perfettamente lo possediamo. Così potremo pervenire, con la grazia del Signore, alla perfezione della carità, che è il fine della nostra vocazione e di tutta la vita monastica». E questo non si realizza da un giorno all’altro, ma in una lotta continua e a volte dura contro le tendenze opposte.

«Conviene perciò che l'abitatore della cella badi con diligente sollecitudine di non inventare o accettare occasioni di uscirne, eccettuate quelle che sono generalmente stabilite, ma piuttosto stimi la cella così necessaria alla sua salvezza e alla sua vita come l'acqua ai pesci e l’ovile alle pecore. … Quanto più a lungo dimorerà in cella, tanto più lo farà volentieri, purché tuttavia sappia occuparvisi con ordine e utilmente a leggere, scrivere, salmodiare, pregare, meditare, contemplare e lavorare. Abbia frattanto familiare quel tranquillo ascolto del cuore che lascia entrare Dio da tutte le porte e da tutte le vie».

Se diversi sono i compiti ai quali il solitario si dedica nella sua cella durante la giornata, vigila perché tutto concorra alla contemplazione di Dio, stando sempre attento alla sua presenza. Tutta la sua esistenza si trasforma allora in una sola preghiera continua. La grazia dello Spirito Santo introduce il monaco nelle profondità del suo cuore, e questo suo intimo sacrario diviene come un altare vivente da cui si eleva incessantemente una preghiera pura.