La risposta dell'uomo |
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Motivi
di vocazione Quando
un candidato si presenta e chiede di divenire certosino, se le prime
informazioni lasciano intravedere una possibile vocazione, lo si ammette a fare
un ritiro nel monastero, con il fine di esaminare con cura il suo desiderio di
vita certosina e le sue attitudini. Colui
che è chiamato alla vita contemplativa arde nel suo cuore di amore per Dio;
egli vuole rispondere generosamente al «primo e più grande comandamento»
enunciato da Gesù nel vangelo: «tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo
cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente». San
Bruno nel ricordare al suo amico Rodolfo il Verde le circostanze della sua
vocazione, ne indica le sue motivazioni profonde: «che cosa è tanto giusto e
tanto utile, e che cosa così insito e conveniente alla natura umana quanto
l'amare il bene? E che cosa altro è tanto bene quanto Dio? Anzi, che cosa altro
è bene se non solo Dio? Perciò l'anima santa, che, di questo bene, in parte
percepisce l'incomparabile dignità, splendore e bellezza, accesa dalla fiamma
d'amore dice: L'anima mia ha sete del Dio
forte e vivo; quando verrò e mi presenterò davanti al volto di Dio?». Il
desiderio di consacrare la propria vita nella preghiera e nella ricerca di Dio
nell'amore è primario per un candidato alla vita certosina, poiché, dicono gli
Statuti, «è assai utile che il novizio si dedichi agli studi e ai lavori
manuali; però non basta che sia occupato in cella e vi perseveri in modo degno
di lode fino alla morte; altro si richiede: cioè lo spirito di orazione e di
preghiera. Di fatto, se venissero a mancare la vita con Cristo e l'intima unione
dell’anima con Dio, poco servirebbero la fedeltà alle cerimonie e
l'osservanza regolare, e si potrebbe giustamente paragonare la nostra vita a un
corpo privo di anima». Questo
ideale contemplativo si deve accompagnare ad un‘attrattiva per la solitudine,
visto che è questo il quadro in cui si colloca la maggior parte della vita del
monaco. Infine «per divenire certosino di fatto oltre che di nome, non basta
volerlo; si richiede anche una speciale attitudine di anima e di corpo che,
unita all'amore per la solitudine e per il nostro genere di vita, permetta di
discernere la vocazione divina». Età
e attitudini Bruno
era un uomo di matura età quando abbracciò la vita monastica; doveva avere
circa cinquanta anni. Al contrario, Guigo, quinto priore di Certosa, entrò nel
monastero a ventitre anni. E non era certo il solo, dal momento che nelle Consuetudini
annota: «noi tutti abbiamo abbracciato questa vocazione dalla nostra giovinezza».
E seicento anni più tardi gli fa eco il R.P. Dom Le Masson, che scrive: «quasi
tutti noi siamo entrati nell'Ordine nella nostra giovinezza, intorno ai venti
anni». Oggi difficilmente si riceve in certosa qualcuno con questa età, poiché il criterio di selezione non è tanto il numero di anni, ma la maturità umana e spirituale. Maturità che ai nostri giorni raramente è acquisita a venti anni, per il fatto che un giovane-adulto deve integrare nella sua sintesi personale numerosissimi influssi e informazioni; la sua affettività si sviluppa più tardi e una sana autonomia è una conquista difficile. I candidati alla vita certosina hanno in genere tra i ventitre e i trentacinque anni. Ce ne sono anche di più grandi, ma il loro adattamento non è per niente facile. Oltre i quarantacinque anni compiuti nessuno può essere ricevuto senza l'esplicita autorizzazione del Capitolo Generale o del priore di Certosa. Tra
le qualità richieste per condurre una vita solitaria, l'equilibrio e il
giudizio vengono al primo posto. Il candidato deve anche avere una buona
costituzione fisica, essere sufficientemente religioso (nel senso etimologico di
"legato a Dio"), atto alla solitudine, ma anche alla vita comunitaria.
Questo non vuol dire che deve essere un uomo eccezionale. Noi siamo tutti
piccoli davanti a Dio, e la vita monastica è un cammino di conversione
evangelica per coloro che hanno un cuore di poveri. Un minimo di mezzi umani è
richiesto, principalmente la capacità di apprendere e di crescere, ed
un'autentica ricerca di Dio. Tutto il resto verrà donato dal Signore. Diversità
di cammini La
chiamata di Dio può manifestarsi nella vita in modi diversissimi. A volte
l'attrazione per Dio si radica in una vita familiare cristiana, e come un seme
che germina pian piano, in un dato momento si manifesta. Ma Dio può anche fare
irruzione nella vita di qualcuno lontano dal piano religioso, dottrinale o anche
morale. Ciò non è per niente raro nel nostro mondo contemporaneo
scristianizzato. In questi ultimi casi, è necessario a volte un lungo lavoro di
integrazione e di educazione per stabilire una coerenza tra l'ideale intravisto
e lo stato concreto della persona. In ogni caso i due cammini abbozzati sono
cammini di conversione radicale, poiché il fine di una vocazione monastica è
di offrire a Dio un cuore puro per poter aderire totalmente a Lui. Una vocazione è un dinamismo essenzialmente positivo, un desiderio impiantato da Dio stesso in colui che egli chiama. Un distacco da un mondo mediocre e materialista può essere occasione di una ricerca, ma non basta a determinare una vocazione, poiché più si ama Dio, più si ama il proprio fratello, e più si è sensibili alla bellezza e alla bontà dell'opera di Dio nella creazione. |