La liturgia |
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Nella vita del certosino la liturgia occupa un posto preponderante, non solo relativamente al tempo consacrato ogni giorno alla preghiera liturgica, ma più ancora in ragione del valore e della dignità di tale preghiera. Quando Guigo, all’inizio dell’Ordine, compilò le Consuetudini, cominciò con la descrizione dell’ufficio divino, poiché stimava che fosse la parte più degna.
La
celebrazione quotidiana della liturgia Eucaristi La
celebrazione del sacrificio eucaristico è il centro e il culmine della vita
della comunità: ogni giorno i monaci si riuniscono per celebrare la Pasqua del
Signore; allora, in Cristo, si realizza tra di loro la più stretta comunione,
mentre si compie l’opera della redenzione del mondo e s’innalza a Dio lode e
azione di grazie a nome di tutta la Chiesa. L’Eucaristia viene concelebrata solo nei giorni in cui la vita certosina riveste un carattere comunitario: domeniche, grandi feste, avvenimenti importanti della vita conventuale. Gli altri giorni, la messa è celebrata secondo l’antica usanza, in conformità con il carattere eremitico della vita certosina: c’è un solo celebrante all’altare e la preghiera eucaristica è pronunziata a bassa voce. La comunità partecipa con il canto, la preghiera interiore e la comunione; tutti in cerchio attorno all’altare ricevono il Corpo di Cristo dalla divisione di una sola ostia e il suo Sangue, sorgente di vita, dal medesimo calice. L’Eucaristia è, per così dire, la manna di cui il certosino si nutre quotidianamente per sostenere il suo cammino nel deserto. In
un altro momento della giornata ogni monaco sacerdote celebra l’Eucaristia in
una cappella eremitica «cioè in piena solitudine, dove l’animo del monaco,
fissato nel mistero di Amore, è investito più intensamente dallo Spirito
d’amore e di luce». Ufficio
notturno Un
altro momento forte della giornata liturgica è l’ufficio celebrato in chiesa
nel cuore della notte: per due o tre ore, secondo i giorni, si alternano il
canto dei salmi e la lettura della sacra Scrittura o dei Padri della Chiesa,
momenti di silenzio e preghiere d’intercessione. I
certosini amano particolarmente questo lungo ufficio notturno; ciascuno, unito
ai suoi fratelli, ma tuttavia in maniera personale, può vivere un’intensa e
profonda comunione con Dio. La più antica tradizione monastica riconosce in
effetti che la pace ed il raccoglimento della notte favoriscono assai la
contemplazione e l’incontro con Dio. Per certi passi dell’ufficio i monaci
spengono le luci e cantano a memoria nell’oscurità. I certosini sono come
quegli uomini del Vangelo che attendono con perseveranza il ritorno del loro
Padrone per aprirgli subito appena arriva e bussa. I rari ospiti che, in casi eccezionali, assistono all’ufficio notturno, ne percepiscono facilmente la caratteristica contemplativa. Ecco come uno di loro ha descritto le sue impressioni: «Non
dimenticherò mai la visione che ebbi dalla tribuna: in una cappella immersa
nell’ombra, che solo le tre lampade del santuario rischiaravano, scivolavano
delle ombre: sono i religiosi che raggiungono il loro posto; al segnale del
presidente tutti s’inchinano profondamente e pregano un momento in silenzio;
ad un nuovo segnale si drizzano e si voltano verso l’altare, fanno il segno di
croce, dopo di che s’innalza la voce del sacerdote di settimana alla quale
tutti rispondono; le lanterne si scoprono, proiettando sui libri la loro pallida
luce, e i cori di destra e di sinistra si alternano nel cantare gli inni, i
salmi e le antifone dell’ufficio: esecuzione lenta e grave, intercalata da
minuti di totale silenzio, in cui ogni voce tace e ogni luce si spegne o si
nasconde; Canto d’una austera semplicità… in cui si esprimono, nel
disprezzo di ogni vana ricerca, la soavità dell’anima, l’umiltà
dell’atteggiamento interiore, la calma e la pace del cuore». Altre
parti dell’ufficio divino Verso
la fine della giornata i monaci si ritrovano in chiesa per celebrare i Vespri:
dopo le diverse attività che hanno occupato i solitari durante tutto il giorno,
questa liturgia della sera invita a riferire ogni cosa al Signore
dell’universo, nella speranza del giorno senza declino in cui Dio sarà tutto
in tutti. Come gli altri uffici comuni, i Vespri sono sempre interamente
cantati. Le
altre parti dell’ufficio divino sono celebrate da ciascun monaco nella sua
cella, tranne le domeniche e certi giorni di festa in cui sono cantate
anch’esse in chiesa. Però, anche in solitudine, la liturgia è un atto
comunitario, perché tutti pregano contemporaneamente quando il suono della
campana dà il segnale: allora da tutte le celle del monastero si eleva una sola
lode a gloria di Dio. Questa
convergenza delle preghiere individuali manifesta quanto la solitudine dei
certosini sia una comunione: in cella i monaci non sono isolati, ma realmente
uniti ai fratelli come le membra di un medesimo corpo. Ufficio
della Vergine Maria Oltre
all’ufficio divino, i certosini recitano ogni giorno in cella l’ufficio
della Vergine Maria, testimonianza del loro affetto per colei che veglia come
una madre sulla loro vita solitaria. L’Ordine certosino ha sempre avuto una
grande devozione per la santa Madre di Dio. Tutti i monasteri sono primariamente
dedicati a Lei. È
nel secolo XI che si è diffusa presso i monaci la pratica di aggiungere
all’ufficio canonico la recita dell’ufficio della santa Vergine. Due dei
primi compagni di Bruno, Stefano di Bourg e Stefano di Die, che erano stati
canonici di Saint-Ruf, avevano
conosciuto nel loro Ordine questo ufficio,
che era di regola quotidiana. Molto probabilmente furono loro a introdurre
quest’uso in certosa; la prima legislazione certosina ne fa menzione, e
prestissimo divenne obbligatorio. Quasi tutti i giorni un sacerdote del monastero celebra una messa in onore di Maria, e tutti i sabati, se non ricorre una festa, la messa conventuale è una messa della Santa Vergine. Ufficio
dei defunti Una
volta alla settimana i monaci recitano in cella un ufficio speciale in suffragio
dei defunti; intercedono presso Dio perché accolga nel suo Regno eterno tutti
quelli che hanno lasciato questa vita.
Le caratteristiche della liturgia certosina Rito
certosino Fin
dal loro arrivo nella Gran Certosa, san Bruno e i suoi compagni si formarono una
particolare liturgia adatta alla loro vocazione eremitica. Come dice il papa
Paolo VI nella sua lettera indirizzata al Reverendo Padre nel 1971, «la Sede
Apostolica non ignora che la liturgia dei monaci solitari dev’essere adattata
al loro genere di vita, dev’essere tale cioè che in essa abbiano prevalenza
il culto interiore e la meditazione del mistero, che si nutre d’una fede viva». In
seguito al Concilio Vaticano II, i certosini hanno introdotto alcune modifiche
nella loro liturgia, ispirandosi ai cambiamenti realizzati nella liturgia
romana; hanno tuttavia conservato il loro rito proprio, distinto da quello
romano. Tra le particolarità che si tramandano da secoli e che sono state
conservate, si può citare il rito dell’offertorio, la grande prostrazione
dopo la consacrazione e l’assenza della benedizione a fine messa. Del
resto le celebrazioni liturgiche in certosa non hanno fini pastorali. Ciò
spiega perché le persone estranee all’Ordine non sono generalmente ammesse a
partecipare agli uffici o alla messa celebrati nella chiesa del monastero.
Tuttavia questa separazione dal mondo non significa affatto che i certosini
ignorino o rigettino il mondo; al contrario, è nel cuore del loro deserto che
sono realmente nel cuore del mondo, vale a dire vicini ad ogni uomo chiunque e
dovunque sia. Quando i monaci celebrano la liturgia, sia in chiesa sia in cella,
è la preghiera della Chiesa universale che si esprime attraverso le loro
labbra. Essi sono veramente la voce ed il cuore della Chiesa, che tramite loro
innalza successivamente verso Dio adorazione, lodi, suppliche e umili richieste
di perdono. Semplicità In
confronto alla liturgia romana, il rito certosino si distingue per semplicità e
sobrietà della prassi esteriore. Così alla messa conventuale (non concelebrata)
il sacerdote è solo nel santuario e, mentre dice a bassa voce la preghiera
eucaristica, la comunità osserva un sacro silenzio perché ognuno possa
associarsi nel più intimo della propria anima al sacrificio celebrato
sull’altare. Durante questa grande preghiera sacerdotale il celebrante tiene
le braccia in croce per identificarsi a Cristo che, sulla croce, si è offerto
per la salvezza del mondo. La
sobrietà della liturgia certosina è una forma di spogliamento richiesta dalla
vita nel deserto, poiché «il deserto ama ciò che è nudo».
La semplicità favorisce anche l’intima unione dell’anima con Dio, al di là
delle espressioni visibili e sensibili. I numerosi momenti di silenzio che
inframmezzano lo svolgimento della messa o dell’ufficio notturno sono
condizione e insieme espressione della preghiera interiore che
accompagna quella vocale. La liturgia dei certosini, più di ogni altra, è
eminentemente contemplativa. Canto
certosino Senza
dubbio questa semplicità appare al meglio nell’esecuzione del canto
liturgico. Il canto certosino non è fondamentalmente differente dal canto piano
gregoriano, ma si distingue soprattutto per la sobrietà ed una austera
semplicità. Già
Guigo, il quinto priore di Certosa, riconosceva che «le esigenze della vita
eremitica non permettono di dedicare molto tempo allo studio del canto».
Così, fin dall’origine dell’Ordine, il repertorio certosino ignora
sequenze, tropari e altre composizioni troppo difficili da eseguire; nei libri
liturgici certosini, negli antichi manoscritti come nei testi stampati ai nostri
giorni, non si trova alcun neuma ornamentale. Sicuramente
ai tempi dei primi certosini le esecuzioni corali furono di un valore artistico
molto modesto. Lo si comprende facilmente dal numero ridotto dei monaci (tredici
al massimo per ciascuna comunità), dall’austerità della loro vita (tra le
altre cose, tre astinenze a pane e acqua ogni settimana) e dalle condizioni
climatiche di certe case, in particolare della Gran Certosa. Del resto i
certosini, consci delle esigenze della loro vocazione contemplativa solitaria,
non hanno mai ricercato un’esecuzione troppo raffinata del loro canto
liturgico. Gli
Statuti certosini non permettono alcuno strumento musicale e prescrivono che
nell’esecuzione del canto non si manchi di semplicità: «Nel
canto si osservino semplicità e misura così che esso spiri gravità e non si
perda il fervore; dobbiamo infatti cantare e salmodiare al Signore col cuore e
con la voce. E tanto meglio salmodieremo quanto più ci saremo imbevuti dello
spirito con il quale salmi e cantici sono stati scritti…cantando al cospetto
della Santissima Trinità e dei santi Angeli, animati dal timore di Dio e da un
intimo desiderio di lui, affinché attraverso quel che cantiamo il nostro animo
sia portato alla contemplazione delle realtà increate, giubilando a Dio, nostro
creatore, con voce armoniosa». Gli
estranei hanno sempre dimostrato di apprezzare questo canto grave e spoglio,
perfetta espressione della preghiera contemplativa. Alcuni gli devono persino la
loro vocazione; come quel giovane di Bologna, Nicola Albergati, che (nel 1395)
visitando la vicina certosa fu costretto suo malgrado a fermarsi per la notte a
causa di un violento temporale. Sentendo la campana che annunciava Mattutino, si
recò in chiesa per curiosità e fu a tal punto conquistato dal canto umile e
raccolto dei monaci nel silenzio della notte, che provò ben presto un ardente
desiderio di condurre tra di loro la vita solitaria a lode di Dio. Nicola
Albergati entrò infatti nella certosa di Bologna; divenne priore di quella
casa, poi vescovo di Bologna e cardinale. Morì nel 1443 e il suo culto fu
confermato nel 1744. Una
liturgia ininterrotta Se
la liturgia occupa ogni giorno un posto prevalente nella vita del certosino, la
sua giornata comporta anche momenti di preghiera personale (orazione,
meditazione), momenti di lavoro, di
lettura e di distensione. Ma tutto deve essere unificato armoniosamente. In
particolare, preghiera liturgica e preghiera solitaria, lungi dall’opporsi, si
completano vicendevolmente. Nella liturgia il monaco può esprimere le
aspirazioni più profonde del suo cuore mediante le parole ispirate dallo
Spirito Santo stesso. «D'altra parte, la preghiera comunitaria, che diviene
nostra attraverso l'azione liturgica, si protrae nella preghiera solitaria con
la quale offriamo a Dio un intimo sacrificio di lode che supera ogni parola. La
solitudine della cella infatti è il luogo nel quale l'anima, afferrata dal
silenzio, dimentica delle cure umane, diviene partecipe della pienezza del
mistero attraverso il quale Cristo
crocifisso, risorgendo dai morti, ritorna nel seno del Padre». In definitiva tutta la vita del certosino tende a diventare una liturgia continua, dal momento che resta incessantemente desto alla presenza di Dio. A lode di Dio, per cui fu particolarmente istituito l'Ordine eremitico certosino, il monaco offrirà al Signore un culto ininterrotto, nel riposo della cella e nel lavoro… Senza fine renderà grazie a Dio Padre che lo ha reso degno di partecipare alla sorte dei santi nella luce. |