Fisionomia spirituale di San Bruno

 

 

 

Tentare di tracciare in poche righe il ritratto spirituale di un santo è certamente difficile, per cui dovremo limitarci a segnalare sommariamente i tratti fondamentali della fisionomia spirituale di San Bruno, prendendo come base soprattutto due sue lettere scritte nel periodo serrese, e conservate fino ai nostri giorni: una indirizzata all'amico Rodolfo il Verde e l'altra ai confratelli dell'eremo della Certosa francese. Questi due preziosi scritti ci rivelano il suo animo nella sua piena maturità, perché scritte negli ultimi anni della sua vita.  

Anzitutto alla radice della vita spirituale di Bruno vi è un amore ardente ed esclusivo per Dio solo. È per amore e in uno slancio d'amore che Bruno e i suoi compagni fecero voto, nell'orto di Adamo, di abbracciare la vita monastica: «divino amore ferventes».

Da questo momento la ricerca esclusiva di Dio sarà il fine perseguito con fermezza da Bruno, sarà il filo conduttore di tutta la sua vita, per cui lascerà tutto ciò che riteneva potesse ostacolarlo in questo suo cammino. Questo spiega la sua scelta per la solitudine che egli vede come il luogo privilegiato dell'amore, dove l'anima può espandersi senza ostacoli, dove «si acquista quello sguardo pieno di serenità che ferisce d'amore lo Sposo celeste», e si vive nell'attesa di Dio «per aprirgli subito appena busserà». La solitudine è dunque per Bruno indissolubilmente legata all'amore: in essa il cuore acquista «quell'occhio puro e luminoso che vede Dio»; essa è il luogo della contemplazione, della beatitudine evangelica dei puri di cuore. Bruno è dunque modello di quella «verginità spirituale» che sarà tanto cara alla tradizione certosina e che consiste in una acuta nostalgia del divino che colma un'anima totalmente presa da Dio, e che attraversa il mondo alleggerita da tutto ciò che ingombra, per andare diritta al suo fine, con lo sguardo fisso in Dio, suo unico desiderio.

E lo sguardo di Bruno vede Dio soprattutto come bontà: «Vi può essere qualcosa di più buono di Dio? Anzi qual altro bene può esservi fuori di Dio solo? Perciò l'anima santa che in parte comprende ( ... ) la bellezza di detto bene, accesa di divino amore, esclama: l'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente». La bontà di Dio è dunque ciò che ha più di ogni altra cosa attirato e affascinato la sua anima, tanto che «traboccante dell’esperienza della bontà di Dio, è anch'egli un'anima di una estrema dolcezza», e le immagini della tenerezza materna e della mitezza dell'agnello saranno quelle che i suoi figli di Calabria useranno per descrivere la sua bontà, di essa parleranno parecchi titoli funebri, particolarmente quelli composti da coloro che avevano personalmente conosciuto Bruno.

Questa bontà e dolcezza sono indubbiamente la sorgente dello spirito di moderazione e di equilibrio che traspare dalla sua figura e che lui comunicherà alla sua famiglia religiosa, segno di un'anima pacificata e di un profondo ordine interiore. Così, pur vivendo una regola austera, egli non teme di godere delle bellezze della natura, perché sa che l'arco troppo teso diventa inutile, e per questo disapprova un'ascesi corporale che potrebbe compromettere la salute. Ma egli sa che questo equilibrio non è facile da ottenere: è il risultato di uno sforzo; la pace del cuore è il frutto di una continua lotta con se stessi, sostenuta per amore di Dio: «Dio rende ai suoi atleti, per la fatica della lotta, la ricompensa desiderata, la pace che il mondo ignora e la gioia nello Spirito Santo».

Questa gioia nello Spirito è un'altra caratteristica dell'animo di Bruno; è, possiamo dire, il tratto finale della figura di questo santo, il necessario coronamento del suo ritratto. Questa gioia brillava continuamente sul suo viso: «Aveva sempre il volto lieto», scrivevano i suoi figli di Calabria, annunciandone la morte. La gioia è presente in più punti della lettera a Rodolfo, e tutto il messaggio ai suoi figli di Certosa ne trabocca. Era la gioia di poter vivere senza riserve per Dio, di poterlo amare senza divisioni, era «la gioia divina che dona la solitudine e il silenzio dell'eremo a quelli che li amano» e che è conosciuta «solo da quelli che ne hanno fatto l'esperienza».